𝕌𝕟𝕠

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Piccolo avviso prima di iniziare: i capitoli saranno molto lunghi, minimo 3000 parole, perché gli aggiornamenti non saranno frequenti. Se la lettura risulta pesante per gli occhi, non mi offendo se la dividete su più giorni. Vi chiedo di non lamentarvi perché vi ho avvisati apposta. 

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Stava a me: potevo
e dovevo
essere l'artefice
del mio nuovo destino

-Pirandello, Il fu Mattia Pascal-


Miranda

Che cos'è casa? Di certo, per me non erano le classiche mura, né i genitori che ti aspettano quando torni da scuola. Per me, casa era dove riuscivo a spegnere la mente, dove i miei pensieri non mi tormentavano, come un parco in cui potevo correre. Una casa vera e propria l'avevo avuta fino all'età di sette anni, poi i miei genitori avevano deciso che si erano stufati di me e mi avevano abbandonata in un orfanotrofio.

Non mi avevano mai voluta, dopotutto, e quando avevano scoperto che nessuno li obbligava a volermi bene, avevano colto l'occasione e si erano liberati di me. Però mi avevano lasciato un conto, a cui potevo accedere solo al compimento dei diciotto anni, con più di cinquecentomila dollari depositati. Probabilmente speravano che quella somma mi avrebbe indotto a non cercarli, ma quel pensiero non mi aveva mai attraversato la mente neanche prima di vedere il denaro.

Non li odiavo, ero solo molto delusa.

Con quei soldi, avevo comprato una casa che potevo considerare tale, non come quelle delle famiglie affidatarie. La villetta non era molto grande, ma si trovava abbastanza vicina all'università e la zona era tranquilla. L'avevo acquistata ad un'asta, perché il proprietario non aveva dato disposizioni precise su cosa farne dopo la sua morte e non aveva eredi. A quanto pareva era un tipo strano, che era sparito per mesi quando era giovane e poi era ricomparso all'improvviso, totalmente cambiato.

In quel momento ci stavo andando ad abitare ufficialmente, poco più di un anno dopo la mia uscita dall'orfanotrofio. Non mi aveva adottata nessuno.

Parcheggiai la macchina in strada, davanti al giardino. Sollevai il baule e presi due valigie; tutti i vestiti che c'erano lì dentro li avevo comprati durante il mio lungo viaggio in Europa. Osservai la piccola villa bianca davanti a me e i miei occhi vennero attirati dall'edera che ne ricopriva una parte.

Mi sentivo bene a Los Angeles, dopo parecchio tempo non era più una gabbia ma la città dove sarei diventata qualcuno. Attraversai il vialetto, fermandomi a metà per poter osservare un piccolo salice piangente.

«Benvenuta, sei la nuova proprietaria della villa, vero?» disse una voce femminile alla mia destra.

Mi voltai e nella mia visuale comparve una donna di mezza età appoggiata allo steccato che divideva le nostre proprietà. I ricci capelli castani le incorniciavano il volto sorridente e gli occhi verdi brillavano illuminati dal sole.

«Sì, sono io. Mi chiamo Miranda, è un piacere conoscerla.»

Andai verso di lei e le strinsi la mano che mi tendeva. Le rivolsi un mezzo sorriso, non volevo sembrare maleducata.

«Mi chiamo Renée Lemoine. Sono davvero felice che tu abbia comprato la casa, fino all'anno scorso veniva affittata a persone pessime. Nessuno voleva mai parlare con me, né accettava un invito a cena.»

Parlò senza prendere fiato un secondo e con troppa vivacità. Un leggero accento francese marcava ogni parola pronunciata. Non mi stava antipatica, a pelle, semplicemente mi infastidiva la sua parlantina, ma non sembrava una cattiva persona.

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