ℂ𝕚𝕟𝕢𝕦𝕖

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La parte più segreta
di lei è ben nascosta
agli occhi degli altri.

-Colum McCann-

Tiffany

Non era la prima volta che dovevo concentrarmi così tanto sulle parole del professore da impararle a memoria. Cercavo di convincermi con tutte le mie forze che la sua voce fosse così forte da impedire l'esistenza di altri suoni, in modo che i sussurri velenosi delle ragazze dietro di me non mi sbriciolassero il cuore.

Era facile a dirsi e per un po' funzionava anche, ma poi i miei pensieri autodistruttivi prendevano il sopravvento e la bolla che si era creata intorno alla mia testa scoppiava.

Questa volta, quando ritornai alla realtà, la lezione era finita e il gruppetto di arpie se ne era già andato.

Meno male.

Presi la borsa e uscii dalla facoltà, camminando verso il Dickson Court, uno dei tanti parchi che si potevano trovare all'UCLA. Mi trovai presto a pensare a Miranda e alla conversazione che avevamo avuto la sera prima. Non era la prima volta quella ed ero anche più adulta, ma il dolore non cambiava al contrario di quello che avevo sempre pensato.

Mi rigirai il braccialetto di cuoio intorno al polso, premendo i polpastrelli sull'intreccio che creava un motivo floreale. Me lo aveva dato lei e mi aveva fatto promettere di non toglierlo mai da lì, come se fosse uno scudo contro me stessa.

Solo io, lei e i miei genitori sapevamo cosa c'era lì sotto e avevo una paura tremenda che Michael la vedesse. E se in quel momento avesse smesso di amarmi?

Ogni volta che lasciavo passare l'indice sotto la copertura, fino ad arrivare a premere sulla cicatrice biancastra, un fiume di ricordi mi squarciava il petto e si fermava solo quando finivo tutte le lacrime, accasciata contro il pavimento.

Mi riscossi e sistemai il braccialetto in modo che non si vedesse nulla, poi rovistai nella borsa cercando il telefono. Non ce l'avrei fatta a restare lì un minuto di più, quel giorno non ero in vena di affrontare alcuna lezione, non con Violet seduta dietro di me.

«Mike...» sospirai non appena lui mi rispose.

«Tutto bene, ragazzina?» domandò.

La sua voce, come ogni volta che la sentivo, mi scaldò il petto e un sorriso spontaneo comparve sulle mie labbra. Era come un antidoto al veleno che mi veniva iniettato dentro tutti i giorni.

Smettila di fare la vittima.

«Io... non ce la faccio più a stare qui, oggi non riesco. E poi, ho bisogno di parlarti, sempre che tu non sia impegnato. Possiamo vederci anche solo per pranzo.»

Rimase qualche istante in silenzio e, in sottofondo, sentii il suono delle pagine sfregare tra loro, segno che molto probabilmente stava guardando la sua agenda.

«Ho tutto il pomeriggio libero, passo a prenderti tra cinque minuti. Prima, giurami che stai bene o non lascio il telefono.»

Lui non sapeva cosa era successo qualche anno prima, anche se avevo la sensazione che un dubbio lo avesse.

«Sto bene, davvero» risposi.

Lo sentii sospirare dall'altro capo. «Non voglio che mi dici bugie, non su come ti senti. Arrivo, ti amo.»

Rimasi immobile, sorridendo al vuoto. Ogni sua parola mi faceva sentire meglio e l'ammissione del sentimento che provava nei miei confronti ogni volta che ci salutavamo riempiva il mio cuore.

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