CONSIGLI - Nel dialogo

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Il linguaggio e il tono di voce definiscono un personaggio tanto quanto il suo aspetto fisico. Il tono di voce dà indicazioni sugli atteggiamenti che altrimenti sarebbero difficili da cogliere, mostrandoli invece di riproporli in una lunga sequenza descrittiva. Per quanto possano dire la stessa cosa, un personaggio che adotta costantemente un tono ironico, sarà diverso da quello che adotta un atteggiamento dimesso.

La sfida successiva sarà quella di trasmettere in modo implicito come il personaggio si sente.

«Ti amo», disse, arrossendo e abbassando il capo.

«Ti amo», disse in imbarazzo.

Troviamo le differenze. Le frasi sono equivalenti a livello di contenuto. La prima frase mostra come il personaggio si sente; la seconda lo dice chiaramente, lasciando poco spazio all'interpretazione. Entrambe le frasi sono corrette, ma la prima aggiunge un ulteriore strato interpretativo, comunicando in maniera più ambigua e complessa.

«Ti amo», disse, arrossendo e abbassando il capo: era in imbarazzo.

La frase non solo mostra, ma spiega pure. Reputo che sia da evitare. È un modo di descrivere tipico dei libri dell'infanzia che abbinano un comportamento al suo significato. L'effetto è quello di avere sul piatto un cibo già masticato per rendere lo sforzo cognitivo meno arduo. Se fatto in continuazione dà l'impressione di un autore insicuro che teme di sbagliare.

Il linguaggio del personaggio, se ben gestito, fornirà, in maniera chiara e competente, informazioni sulla sua estrazione sociale, sul tipo di persone che frequenta, sul contesto storico, sulla sua educazione e in qualche modo anche sul suo carattere. Un individuo dominante tenderà a interrompere e a imporsi, screditando quanto l'interlocutore dice. Un individuo intelligente e manipolativo smonterà una a una le tesi dell'interlocutore, accusandolo mentre si trova in un apparente ruolo di vittima.

La competenza dell'autore emergerà attraverso lievi differenze nel modo in cui i diversi personaggi si esprimono.

Anche il contesto specifico influenzerà il parlato. Il personaggio che si lascia andare a lunghi monologhi mentre ha i secondi contati per agire, non solo spezzerà la tensione drammatica, ma apparirà estraneo alla situazione in cui si trova. Funziona per una parodia e tutt'al più per una commedia. Non saprà dare valenza a un momento drammatico.

Il contenuto del dialogo d'altronde dovrebbe porsi come funzionale o al personaggio o alla storia. In un caso caratterizzerà chi sta parlando, nel secondo fornirà informazioni inerenti al contesto o alla trama. Reputo inutile proporre dialoghi che non svolgono né l'una né l'altra funzione; sono dialoghi a vuoto che riempiono pagine, soddisfando l'autore (talvolta anche il lettore) ma non la storia o il personaggio.

Il dialogo, dovendo riflettere il parlato, è l'unica sezione del libro in cui sono ammessi errori, perfino il temibile "a me mi piace", purché serva a mostrare scarsa competenza grammaticale del personaggio.

Molto spesso i personaggi si esprimono in maniera artificiosa, usando espressioni poco comuni oppure dicendo frasi che nel parlato non si sentono. Basterà leggere ad alta voce quanto scritto e chiedersi quali emozioni suscita colui che si esprime in quel modo. Adolescenti odierni che parlano come se fossero dei lord del Settecento, per me sono alquanto fuorvianti. 

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