Capitolo 6 - Caiden

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Domenica 13 Novembre

«Fratellone! Come sto?»
La mia Camille si specchiò.

Cole le aveva inviato un grazioso vestito color malva dalla Pennsylvania e aveva voluto indossarlo subito.
Le veniva un po' largo, era molto esile ma alta per avere quasi sette anni.

«Ti sta benissimo» le dissi sorridente.
Fece una giravolta su sé stessa e rise contenta.
La afferrai e le baciai la fronte.

«E aspetta un attimo, Carter!» urlo ancora assonnato da dietro la porta. Mio fratello Carter è venuto a trovarmi come ogni domenica. Cerco le chiavi in giro mentre quello scemo continua a suonare il campanello. «Un attimo, ti ho detto!».

Finalmente apro questo maledetto portone e un Carter in condizioni pietose mi salta addosso.

«Sono stato un coglione» piagnucola.

«E quando mai? Dai avanti, siediti e racconta»

«Allora...»

Carter è sempre stata una persona parecchio incasinata, sin da ragazzino: il suo sogno era vivere di musica e, si può ben capire, non era affatto rassicurante. Volevamo andare via da casa, fuggire, e avevamo bisogno di un qualche supporto economico. Sarebbe stato molto più facile se fosse andato a fare il commesso, il barista... e invece no, la musica o nulla. Allora ha iniziato verso i diciotto anni a lavorare almeno come dj. Per i quattro anni precedenti, mi ero fatto carico di lui, Cole e della piccolissima Camille, di cui me ne sono iniziato, in pratica, a prenderne cura appena nata. Ero il loro tutore avendo raggiunto la maggiore età, dovetti farmi in quattro per racimolare qualche sterlina.

Ci fu senz'altro un miracoloso aiuto da parte degli stessi zii che hanno poi ospitato Cole, sia legalmente che economicamente, grazie alle migliaia di soldi inviati dall'America che mi permettevano, perlomeno, di far finire ai miei fratelli gli studi obbligatori. Facevo il giardiniere, il commesso, il dogsitter e di notte il barman. E, se mi andava bene, trovavo pure il tempo di scrivere.

Alla fine ce la cavavamo, era sempre meglio vivere in una catapecchia al freddo che in una catapecchia con dei genitori violenti e menefreghisti. Ricordo quanto ho sudato quando gli assistenti sociali volevano mandare Carter, Cole e Camille in adozione, ho fatto di tutto per impedirlo e forse ne è valsa la pena.

Ringrazio il mio fratellino per avermi spinto a chiedere aiuto, abbiamo almeno salvato Cami, che all'epoca era troppo piccola per ricordare le atrocità. Carter, senz'altro, mi alleggeriva il peso che portavo sulle spalle: ricordo bene gli scherzi in giro per casa, le esibizioni comiche in piedi sul vecchio divano, la sua protezione nei confronti di Camille, i primi piccoli successi come cantautore, la cotta tremenda e mai cessata per Lorelai.

E proprio per questa ragazza, questa mattina, si è ridotto così. Da compagni di classe a migliori amici, Lorelai e Carter credo si siano sempre amati. Lei, espansiva e dolce, lui sbruffone e permaloso. Lore sempre con i voti migliori della classe, Car car - come lo chiamo io per prenderlo in giro - che aveva solo la testa nel comporre musica.

Alla fine, però, lei non ha saputo inseguire i suoi sogni, si è accontentata di arrivare a fine mese, lui pian piano li sta realizzando. La loro storia, come ho sempre pensato, non ha né capo né coda: tra tiri e molla, pianti e rappacificamenti, ho paura che possano solo farsi del male a vicenda, alla fine forse a loro va bene così.

Fatto sta che, questa volta, Car Car era andato con un'altra dopo un loro "periodo di pausa" e Lorelai si era infuriata e l'ha piantato in asso "una volta per tutte". Sinceramente, non credo che riusciranno a stare  lontani per più di un mese, al massimo!

Tra New York e RotterdamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora