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«Yu-jin Kim? E cosa vuoi che mi dica, metà della popolazione coreana fa 'Kim' di cognome.»

In piedi vicino al muro, Cloro lo guardò incredulo. L'amico aveva l'abitudine di ricevere pazienti asiatiche per farsi occidentalizzare le palpebre o il naso, e si vantava di conoscere ormai l'intera comunità coreana in Francia. «Ma sei tu che lo hai chiesto!»

«Non parlavo con te. Non distrarmi per favore.»

Nella piccola sala operatoria il chirurgo aveva già indossato il camice bianco e si preparava per l'intervento. Portava una cuffia e degli occhiali protettivi, dei guanti in lattice e una mascherina alla bocca. Preparò gli attrezzi e li sistemò su un vassoio vicino al tavolo operatorio. Chiese alla paziente di aprire l'abito per liberare l'area dell'intervento.

Cloro diede un leggero colpo di tosse sotto la mascherina per attirare l'attenzione. Seduta sul tavolo operatorio, la ragazza interpretò quel segnale. «Non ho reggiseno, è un problema dottore?»

Lui aprì le braccia e guardò Cloro indignato. «Andiamo! Sai quante ne vedo al giorno di paia di tette? Hai dimenticato che lavoro faccio?» Si avvicinò all'orecchio della paziente. «E tu puoi chiamarmi Julien.»

Lei annuì, e si sfilò la parte alta dell'abito.

Le diede un elastico e una cuffia chirurgica. «Metti questi per favore, poi sdraiati sul lettino a pancia in giù.»

Senza parlare, Yu-jin raccolse i lunghi capelli neri con un movimento elegante delle braccia, li legò con l'elastico e li sistemò sotto la cuffia. Si allungò sul tavolo, e posò la testa in giù fra gli avambracci. Aspettò immobile, come dovesse ricevere un massaggio sulla schiena, decorata da quel maestoso dragone che sembrava proteggerla come un potente talismano.

«Adesso questo sì che è un tatuaggio!» esclamò il chirurgo ammirato. Agì su un bottone per rialzare il tavolo operatorio, poi avvicinò la lampada scialitica per illuminare la base del collo. Si abbassò per esaminare la zona del trauma, evidenziata da un rigonfiamento tumefatto. «Avete fatto bene a venire subito.» Prese del cotone e lo imbevette nell'alcool, quindi lo passò sul collo per sterilizzare la zona dell'intervento.

«Ahi!» esclamò lei, contraendo le spalle per il dolore.

«Scusami. Sei ridotta malaccio.» Preparò una siringa. «Adesso ti faccio un'anestesia locale. Farà un po' male i primi istanti, e poi non sentirai più niente.»

Un grido smorzato accompagnò l'introduzione dell'ago nella base del collo, in prossimità della protuberanza. «Tieni duro. Adesso passa.» Sfilò l'ago e tamponò la zona della puntura. Rimase così per circa trenta secondi. Poi toccò il rigonfiamento sul collo prima col cotone poi col dito. «Senti niente?»

«No, dottore.»

Julien esaminò più attentamente la zona al tatto servendosi del pollice e dell'indice. «Effettivamente c'è un corpo estraneo.» Avvicinò il vassoio con gli strumenti chirurgici. «Bene, possiamo iniziare. Ora non muoverti più.» Prese uno scalpello e incise con un taglio verticale al centro della protuberanza. Sangue e pus si sprigionarono dalla ferita. Tamponò con delle garze che teneva sottomano.

Cloro lo guardò incerto. «Ti posso aiutare in qualche modo?»

«Non dire stupidaggini.» Julien cercò un paio di pinze chirurgiche pronte all'uso. «Non è la prima infezione che vedo, sai? – Purtroppo.» Si rivolse alla ragazza. «Adesso stai ferma il più possibile. Sentirai una sensazione sgradevole, ma non farà male. OK?»

Yu-jin chiuse gli occhi e strinse i pugni.

Il chirurgo introdusse le pinze nella ferita, e dopo qualche manovra, estrasse una piccola capsula metallica coperta di sangue, mentre con l'altra mano usava la garza per arrestare l'emorragia. Depose la capsula in un contenitore metallico e posò le pinze sporche su un piattino.

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