Capitolo 3

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Ieri notte, come avevo previsto alla fine non ero più riuscita a chiudere occhio.

In parte perché avevo la preoccupazione che quella creatura sarebbe potuta ritornare da un momento all'altro, in parte perché non riuscivo a dare una spiegazione sensata al gesto che aveva spinto l'eterno ad arrivare fino al castello.

Mi ero continuamente rigirata nel letto, nella speranza di non sentire nessun stridio nè all'interno della stanza nè sul tetto.

Alla fine però ad un certo punto, la stanchezza aveva vinto sul mio corpo e, probabilmente fu forse per questo che riuscii a dormire per un paio di ore.
Sarebbe stato più corretto definirlo pisolino, anche se in sostanza non sarebbe cambiato nulla.

Ormai il mattino era arrivato e i flebili raggi del sole avevano già iniziato a illuminare la stanza. «Che nottataccia» mormorai all'interno della stanza vuota, tirandomi su a sedere.
Avevo il corpo completamente indolenzito. Sbuffai, consapevole di aver speso un'altra notte insonne. Ero maledettamente stufa di continuare a questo ritmo.

E poi di nuovo quel sogno, uno dei tanti ricordi che a volte tornavano a bussare alla porta, come se non mi mai volessero abbandonare. Non era il primo incubo che avessi mai avuto e sicuramente non sarebbe stato nemmeno l'ultimo. Ma la cosa che mi disturbava di più era che per qualche brutto scherzo del destino venivano sempre a farmi visita.

A volte erano più leggeri. In quelle occasioni mi sentivo un completo estraneo, una terza persona che se ne stava lì in disparte, a guardare quello che stava accadendo senza poter fare nulla.

Mi sembrava di essere lo spettatore che assisteva alla scena. A volte invece ero sicura di riviverli da capo sulla mia pelle, con tanto di brividi e ansiti. Inutile dire che quelle erano le volte peggiori. Era estenuante non poter riuscire a controllarli. Arrivavano quando volevano o quando meno me l'aspettavo. Ultimamente avevano preso l'abitudine di spuntare nei momenti meno opportuni e questo era un enorme seccatura.

Per alcuni anni avevo cercato di sbarazzarmene con delle tisane alle erbe di qualche curatore o utilizzando dei leggeri sonniferi, ma niente sembrava avere un effetto duraturo.

Ormai erano diventati una sofferente abitudine.

Mi costrinsi ad alzarmi dal letto sistemando l'attrezzatura e le lame nei foderi che si erano spostate durante il sonno. Toccai le punte dei due pugnali in osso di lupus passandoci sopra l'indice e il medio uniti. Il bordo era leggermente ruvidiccio.
Avevo bisogno di affilarli il primo possibile.

Mi chinai chiudendo la cerniera degli stivali in cuoio.

Ero arrivata quasi alla fine della chiusura, quando percepì i passi della servitrice prima ancora che bussasse alla porta. Li avevo già impressi in testa, leggeri e molto aggraziati.

Spostai l'attenzione verso la porta.

Me la immaginai interrogarsi dall'altro lato dell'entrata, con il pugno chiuso puntato a mezz'aria, se fosse il caso di bussare o meno. Non volevo che aspettasse fuori un'eternità, perciò feci quello che reputai più adatto alla situazione. La invitai ad entrare.

«Avanti» dissi mentre finivo di allacciare anche la tuta.
La ragazza di nome Yveline entrò nella stanza, accompagnata da un cigolio della porta.

Trascinò dietro di sè qualcosa che non riuscì a vedere bene. Ma dal profumo che iniziò a farsi strada nella stanza sembrava qualcosa di veramente delizioso.
«Buongiorno Cacciatrice, spero che abbiate passato una buona nottata. Ho portato la vostra colazione con le migliori prelibatezze del regno. Il re spera che apprezziate e vi augura una buona permanenza al castello» annunciò sistemando il carrello imbandito al centro della stanza.
Rimase in attesa vicino ad esso, con le mani incrociate sul grembo mentre mi guardava con quegli occhi color smeraldo.

MOONSHINE- La Congrega delle CacciatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora