Capitolo 1

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Beatrice

Sicilia, 2522

Se qualcuno avesse chiesto a Beatrice Chiaramonte perché continuasse a fare la cameriera sottopagata per uno dei ristoranti della sua città natale, non avrebbe saputo cosa rispondere. Forse avrebbe alzato le spalle in segno di dubbio, o ruotato gli occhi azzurri rassegnata a quella domanda che le facevano da anni, consapevole del fatto che la vita era ingiusta e niente avrebbe cambiato un fatto come questo. Lavorare non era stata una scelta, ma un obbligo, e per servire piatti di ogni tipo non erano necessarie competenze particolari. Se da una parte studiare non le era mai piaciuto e a stento aveva completato la scuola dell'obbligo con un voto piuttosto discreto, dall'altro l'orfanotrofio l'aveva mandata a vivere da sola compiuti i diciotto anni e da quel momento in poi avrebbe dovuto sforzarsi per sopravvivere, visto che lo stato aveva altro a cui pensare rispetto ad una ragazza tra mille senza genitori.

Sin da quando era uscita dall'orfanotrofio, lo stato era obbligato per legge ad aiutarla con ben 1 anno al mese, per un periodo di tempo limitato di tre mesi. Divenuta cameriera, aveva perso tutti i contatti con loro e non avevano perso tempo a recidere ogni legame. Persino con le famose zie, era così che chiamavano le donne che si prendevano cura di lei e di tutti gli altri ragazzini abbandonati o senza genitori, non si erano più fatte vive e avevano smesso di presentarsi al locale o di darle una mancia decente. Con quei 12 anni che le erano rimasti e aveva accumulato, era riuscita a comprare cibo e vestiti in abbondanza, lasciando una parte cospicua di sopravvivenza. Eppure, senza un lavoro che le desse ulteriore tempo, non avrebbe compiuto in alcun modo i ventitré anni di vita.

Nella piccola biblioteca dell'orfanotrofio, un libro aveva catturato la sua attenzione quando ancora le interessava leggere e scoprire mondi nuovi, diversi dal suo. Una storia d'amore, di cui non ricordava più il titolo, in cui il tempo era indeterminato e nessuno vi prestava grande attenzione: non valeva niente e non era la moneta di scambio. Cose impensabili come giorni interi passati senza parlarsi e senza confessare i propri sentimenti, vivendo la vita con l'unico problema di provare emozioni ed esperienze per la prima volta. Una cosa che non le sarebbe mai stata permessa. 

Il lavoro di questi personaggi veniva pagato con pezzi di carta con un preciso valore, a volte persino piccole monete di vari colori, ed era con quelli che si acquistavano le cose e si pagava l'affitto. Non che ne avesse mai visti di persona, ma recuperare degli ologrammi con le loro fattezze non era tanto difficile, provenienti soprattutto da film. Euro si chiamava, in gran parte dell'Europa, cosa di cui aveva sentito parlare durante le lezioni di storia antica. Una moneta che cambiava a seconda dello stato in cui si trovava nel mondo sia per il nome sia per il medesimo valore. Come potesse essere cambiato tutto con una piccola scoperta, non riusciva ancora a spiegarselo, ma la moneta si era trasformata in tempo e sarebbe rimasta uguale per tutti. I conti con l'Oltretomba non facevano testo. Il tempo era il nuovo denaro.

E così, per sopravvivere, doveva lavorare e ricevere nuovo tempo per rimanere in vita. Solitamente quello che veniva spazzato via nel corso del turno: 8 ore, nei giorni migliori, e le misere mance. Il lavoro a nero non retribuito, proprio come nel passato, era rimasto presente. Ed era l'unico che Beatrice poteva permettersi di fare, senza molteplici lauree. A vincere, come al solito, i ricchi benestanti che avrebbero dovuto soltanto respirare per avere del tempo in più nel mondo. Immortali, ecco cosa aveva creato quel microchip. 
A volte il suo datore di lavoro si faceva perdonare nei pagamenti in ritardo con una pizza gratis a forma di cuore, altre la mandava a casa senza nemmeno scusarsi, come se la cattiveria gratuita le fosse dovuta. Attivò lo schermo led sul suo polso, per controllare che non avesse perso troppo tempo.

8 anni, 67 giorni, 44 minuti e 05 secondi.

Aveva avuto un numero peggiore, se così si poteva dire. Almeno sarebbe potuta arrivare ai trenta, se non avesse mal speso ciò che le era rimasto. Lo schermo si spense due secondi più tardi, quando abbassò il braccio per indossare l'uniforme. 

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