Capitolo 3

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Beatrice

Sin da quando aveva visto entrare quella famiglia così riccamente vestita, Beatrice sapeva come sarebbe finita quella serata. Quell'idiota di Alberto non avrebbe chiuso il ristorante fino a quando non gli avrebbe sfilato almeno un anno di tempo al più ricco di tutti i presenti al tavolo, il più bravo a farsi fregare da un uomo così altezzoso. 

Lo percepiva nell'aria quando quel momento sarebbe arrivato, spesso contornato da una chiamata per prenotare un tavolo numeroso, che portava ad un seguente chiacchiericcio da parte dell'uomo alla moglie su chi sarebbe venuto a trovarli durante quelle sere. Ed era in quei momenti che la rabbia di Beatrice si faceva vivida come una fiamma che aveva imparato a controllare, nonostante i debiti non le fossero mai stati ripagati del tutto, costretta ad inseguire il suo datore di lavoro fino a quando non avrebbe trovato di meglio. 

Non era mai riuscita ad osservarlo come si deve nel suo atteggiamento da manigoldo: come un vero e proprio incantatore, riusciva a gestire l'attenzione della vittima attraverso la voce e in un lampo grazie a quest'ultima poteva aver sgraffignato con un semplice gesto molteplici ore. Un gesto che, nel suo caso, avrebbe potuto facilmente portarla alla morte in pochi giorni. In un momento difficile come poteva esserlo una febbre o un raffreddore non curato, dove il tempo scorreva duplicato a seconda della pericolosità, poteva anche voler dire poche ore. 

Era proprio per questo che non aveva mia sopportato i ricchi. Quando era piccola la loro presenza all'interno della casa famiglia era all'ordine del giorno, soprattutto nei periodi festivi, sottoforma di ologramma e una voce creata tramite un'intelligenza artificiale che recitava il solito penoso messaggio. L'importanza di aiutare chi è meno fortunato di noi. Che chiunque merita di vivere, anche gli sfortunati nati con pochi secondi di vita o chi è stato abbandonato. 

Quella volta non ci avrebbe pensato due volte ad osservare i movimenti di Alberto, a costo di far arrabbiare chiunque all'interno di quella sala. Non aveva smesso di tenerlo d'occhio per un solo secondo: non soltanto fingendo di dover andare innumerevoli volte in bagno a causa di un malore, ma anche proponendosi come cameriera per il tavolo in questione. Quando le veniva notificato che un piatto fosse pronto per essere servito, si ritrovava sempre pronta con le mani vuote a prendere tutto ciò di cui vi era bisogno. 

Ci mise una mezz'ora abbondante per comprendere che, in realtà, non era una famiglia soltanto quella presente al tavolo. Per quanto le erano sembrati tutti molto simili tra di loro, sia nel modo di vestire ma anche e soprattutto nel modo di mangiare la pizza tipica da persone che non si permetterebbero mai di sporcarsi le mani, era riuscita a trovare una falla nel loro accento. Uno francese, per quelli che dovevano essere i Rousseau, ovvero coloro che dovevano aver prenotato; un altro inglese dal viso piuttosto familiare. Dalle conversazioni che aveva potuto ascoltare a pochi centimetri di distanza, si era resa conto che si trovavano al Garofano Azzurro per festeggiare i due figli, i più giovani presenti, e una loro possibile unione. 

Niente a che vedere con un matrimonio, per quanto l'idea ad un orecchio meno attento potesse essere proprio quella. Beatrice percepiva in sé che qualcosa non andava per il verso giusto: chi poteva mai festeggiare una relazione appena nata, piuttosto di un fidanzamento ufficiale o un matrimonio? Per confermare i suoi sospetti su quella cena avrebbe dovuto alzare lo sguardo in direzione dei due interessati, ma non ne ebbe il minimo coraggio. 

Con la testa rivolta verso il basso, era riuscita a cogliere soltanto elementi del tutto apparenti che confermavano lo status di tutti i presenti, così come la loro possibilità di rivestire se stessi in una vera e propria immortalità. Un uomo come Pierre Rousseau non poteva che incarnare alla perfezione quell'aspetto, parlando di quanto amasse l'Italia e il mare della Sicilia; di come avrebbe vissuto volentieri lì, se non fosse per il lavoro in azienda che lo portava a viaggiare fin troppo per i suoi gusti altolocati. Un pensiero che sarebbe potuto venire in mente soltanto ad un uomo come quello, che avrebbe potuto vivere per sempre anche soltanto sospirando. Alberto si beava di quelle attenzioni, facendole sue. E diveniva ladro di un tempo che non si era guadagnato giustamente. Ma la vita, si disse osservandolo, era anche questo. 

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