CAPITOLO 20

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La sfrontatezza con la quale mi guarda e la semplicità che gli abita negli occhi mi disarmano e io mi sento persa.
Tommaso mi spiazza, mi ruba il fiato, i battiti e persino la ragione, perché se sono ancora qui, a fare questo stupido gioco, è evidente che io l'abbia persa.
«Perché me lo chiedi, se tanto poi devo fare come dici tu?», sbotto.
Tommaso alza lo sguardo al soffitto e accenna a un sorriso dolce che gli illumina gli occhi.
«Rispondi e basta, Ivonne», mormora e allunga una mano, fino a sfiorare il mio ginocchio.
Inizia a disegnarci sopra dei cerchi, è delicato, troppo delicato, eppure riesce a riempirmi di brividi.

«No, non mi va», dico decisa e le sue dita si fermano.
«Verità anche io», mi fa sapere, accettando senza nessuna reazione la mia risposta.
Lascia la sua mano sul mio ginocchio, immobile adesso. Ma che sia immobile o in movimento, poco cambia, perché io non riesco a pensare e odio questo effetto che lui ha su di me. È in grado di spegnere la parte razionale di me, di ammutolire quella vocina fastidiosa che è la coscienza e lascia il via libera alle mie emozioni. Solo emozioni, quelle che sono abituata a controllare e che, così, mi sfuggono di mano.

«Ci metti sempre troppo, Ivonne», alza lo sguardo su di me, «non hai nessun interesse per me?».
Vorrei sapere tante cose, eccome se vorrei, ma mi sembrano tutte stupide e inutili, al momento.
«Perché proprio io?».
Tommaso mi guarda da sotto le sue ciglia lunghe, per la prima volta lo vedo riflettere sulla mia domanda, per la prima volta non ha la risposta pronta e il gelo che lo riveste cola liquido e svelto.
«Non l'ho scelto... è capitato. Un insieme di casualità mi hanno messo sulla tua strada e io adesso la sto percorrendo...», le sue dita riprendono a muoversi sulla mia gamba, risalgono su, lungo la coscia che, in un istante, si ricopre di brividi. Chissà se riesce a sentirli anche lui, attraverso la stoffa dei jeans...
«Voglio vedere dove porta», conclude.
Non so dove porterà lui, ma so che io mi sono persa.
«Obbligo», affermo tremante.
Mi ripeto di non dare più un peso alle sue parole, di non farlo, perché quel peso sta per schiacciarmi.
«Sfilati la maglietta», è netto, deciso e il mio cuore si ferma.
Vibro sotto le sue dita e i miei occhi scattano nei suoi, increduli.
«Ti ho ascoltata... i jeans restano dove sono, ma togli la felpa», rimarca la sua richiesta e io resto in apnea. Le sue dita continuano a muoversi, hanno raggiunto il bordo della mia maglia verde, lo afferrano, lo stringono e lo tirano.
«Vuoi che lo faccia io?», è dolce, punta i suoi occhi nei miei e devo essere impazzita, perché nelle sue pupille azzurre leggo un desiderio che mi accende. Un desiderio che mi fa sperare in qualcosa di più, che mi fa sentire la persona giusta al momento giusto, che mi fa sentire il centro di questo momento.
Non rispondo alla domanda di Tommaso e con una lentezza estrema afferro il bordo della mia felpa, inspiro e la alzo, fermandomi sotto al reggiseno.

«Sei in imbarazzo?», Tommaso mi scruta come se, fino a questo momento, tale eventualità non fosse stata tra le opzioni possibili.
Senza dire nulla, si alza dal letto, ma è come se le sue dita fossero rimaste qui, di nuovo, sulla mia pelle, nonostante i jeans, come quella mattina a scuola.
Raggiunge la finestra e tira le tende blu. La stanza cade nella penombra e un brivido scivola lungo la mia schiena, come una biscia impaurita che scappa.
Torna da me in silenzio e si risiede allo stesso posto. Mi osserva, serio in volto, ma l'oscurità della sua camera gli dona forme più dolci e io mi sento bruciare.

«Ivonne...», mi richiama, «la maglia», con il mento indica la mia felpa e io non me lo faccio ripetere. In un movimento veloce mi sfilo l'indumento e lo lascio cadere a terra. L'aria della stanza è fredda, ma i brividi che mi ricoprono la pelle non sono dovuti a questo.
Voglio che mi veda, voglio che mi guardi di nuovo con quel desiderio negli occhi e voglio illudermi che tutto questo abbia un senso.
Tommaso afferra la sedia sulla quale sono seduta e la tira verso di sé, facendo scivolare le rotelle sul pavimento di legno. Finisco tra le sue gambe aperte e le sue mani si posano sulle mie ginocchia.
«Obbligo», esala, stringendo la presa sui jeans.
Sento i suoi occhi cadere sulla mia pelle, nonostante la poca luce. Si soffermano sul seno, sul reggiseno scuro di pizzo in parte coperto dalla canottiera e sento che il cuore potrebbe saltare fuori dal petto da un momento all'altro.
«Togliti anche tu la maglia», non ho tempo per pensare, non ho tempo neanche per capire cosa sto dicendo prima di averlo detto e chissà che tutto questo non ci porterà a fare un disastro.
Tommaso allontana le sue mani dalle mie gambe e, con un gesto veloce, molto più sicuro del mio, si sfila la felpa. Il suo petto nudo è illuminato dalla poca luce che filtra dalle tende, ma ciò che vedo è abbastanza per sentire una morsa stringermi lo stomaco. Il desiderio improvviso di alzarmi da questa sedia e stringermi a lui mi disarma e disorienta. Non posso. Non dovrei neanche pensarlo!

BATTITI RUBATIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora