CAPITOLO BONUS - TOMMASO

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Tremano le mani con cui la stringo e trema il cuore.
Cosa diavolo sta succedendo?
Ivonne socchiude gli occhi ma non parla, non si muove, respira appena.
Li richiude e mi sento morire anche io.
118.
Devo chiamare il 118.
La lascio andare e afferro il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Mi risponde una donna, le do le informazioni di cui ha bisogno, ma inizio a perdermi anche io.
La vista si offusca.
Sento lacrime fantasma cadere silenziose.
Non sono mie.
Sono di mia madre.
Avvolte da luci asettiche, in quel corridoio di ospedale.
Sono in piedi, mio fratello mi stringe la mano e la mamma ci viene incontro con il volto distrutto.
Vedo che tenta di nasconderlo, capisco che cerca di limitare le lacrime, ma non ci riesce. L'amore per mio padre la riveste in maniera chiara e il dolore per quello che deve dirci la sta prosciugando.
Ci abbraccia.

«Mamma», è Michele a parlare, dopo aver tirato su col naso.
Lo osservo.
Ha iniziato a piangere anche lui.
È solo un bambino di sei anni...
Forse non capisce a pieno la situazione, ma vedere la mamma piangere è più che sufficiente per piangere anche lui.
«Piccoli miei...», anche la mamma tira su col naso, guarda il soffitto di questa stanza che sa solo di dolore e perdita.
«Papà...», non riesce ad andare avanti, ci abbraccia di nuovo e io capisco.
Capisco che ieri sera rimarrà per sempre l'ultima volta che ho parlato a mio padre.
Lungo su quel letto, il volto consumato dal tumore che da mesi lo stava divorando da dentro.
Non mi importa più di essere forte, voglio solo piangere e svanire, voglio solo andare con lui pur di non restare qui da solo.
La mamma ci trascina con sé, ancora stretti nell'abbraccio, fino a farci sedere sulle sedie rosse che costeggiano la parete.
Non ci guarda, Michele si stringe a me e io lo faccio accomodare sulle mie gambe. Mi abbraccia e piange.

«Papà sarà sempre con noi... anche se, ades-so... noi non pos-siamo veder-lo...», singhiozza e fissa le sue mani strette in grembo, la sua fede. Osserva l'amore della sua vita lasciarla sola e io osservo lei.
Sarà tutto diverso.
E io non lo volevo.
Non sono pronto.
«Mamma...», Michele si alza su e si sposta sulle sue braccia, «non mi lasciare anche tu...», piange e la guarda in volto.
La mamma inspira a fondo.
«No che non ti lascio», lo rassicura, accarezzandogli il volto, «non vi lascio», mi guarda, allunga una mano fino a prendere la mia.
«Ce la faremo... vi amo più di ogni altra cosa... ce la faremo», lo dice come se fosse vero, ma lo sappiamo tutti che senza papà nulla sarà più lo stesso.
Non lo era già da mesi, ma ci restava la speranza che la nostra vita potesse tornare come prima, a quando ogni cosa andava bene. Ora che quella speranza non c'è più, il mondo ha appena cambiato volto.
Io non sarò più lo stesso.
Io non voglio più essere lo stesso.
Non dopo aver capito che non importa quanto lotti, certe battaglie si perdono e basta. Che non importa quanto tu sia buono, bravo o coraggioso, ci sono forze più grandi di te di fronte alle quali non sei nessuno. Non importa. Nulla importa.
Con la consapevolezza che tutto può svanire da un momento all'altro, che anche la cosa più preziosa che ho può andarsene, e non per colpa mia, capisco di non poter più donare la mia felicità a nessun altro. Capisco di non potermi fidare di nessuno, se non di me stesso. Capisco che la felicità dovrà dipende solo da me.
Devo trovare il modo per mettere ciò che sento, ciò che voglio, al primo posto, senza dare più peso all'opinione degli altri, anche se quegli altri dovessero essere mia madre o mio fratello.
Il pensiero di Tommaso è tutto ciò che conta. Io sono tutto ciò che conta e d'ora in poi non farò che ascoltare, ascoltarmi.
Sarò libero, perché la vita è troppo breve per passarla imprigionati nelle aspettative degli altri. E non mi importa più di essere buono, bravo o coraggioso.
Sarò Tommaso.

La mamma stringe Michele a sé con una mano e con l'altra stringe le mie dita.
Abbasso lo sguardo e vorrei che fosse così semplice la vita, come stringersi le mani.
Batto gli occhi e la mamma non c'è più. La mia mano stringe quella di Ivonne, ancora immobile accanto a me.
Cosa ho fatto?
Quanto tempo sono rimasto a fissarla?
Mi agito, la scuoto piano, ma non si muore.
Respira ancora, però.
Sento le sirene di un'ambulanza che si avvicinano.

«Ivonne», la chiamo, la scuoto.
«Ivonne, dannazione!», alzo la voce.
«Cosa ti è successo?», mi avvicino ancora di più.
Il suo viso è sereno eppure non mi ha mai fatto più paura.
«Ivonne, cazzo! Non ti azzardare a morire! Non ti azzardare, hai... hai capito?», mi trema la voce, mi tremano le mani, mi trema il respiro mentre cerco di convincermi che non accadrà di nuovo.
Ho giurato, anni fa, che avrei fatto solo ciò che sentivo, che avrei ascoltato solo me stesso, ora non voglio credere che quello che sento mi condannerà di nuovo al dolore.
Le avevo chiesto se sarebbe venuta alla festa, l'altro giorno, perché avevo paura di rivederla in presenza di Sofia, ma avevo anche paura che non ci fosse perché so che tra lei e Sofia non scorre buon sangue e io avevo bisogno di rivederla. Ora... ora ho paura che i suoi occhi non si riapriranno più, ho paura di non poter più giocare con lei, di non sentire più...
Un paramedico mi si avvicina, osserva Ivonne, posiziona due dita sul suo collo e grida.
«Portate la barella!».
Le ruote scivolano rumorose sul pavimento, vedo ancora le luci asettiche di quell'ospedale e le lacrime fantasma, questa volta, non sono di mia madre.
Intorno a noi c'è troppa gente, troppa gente di cui non mi importa nulla e a cui non importa nulla di Ivonne.
La sistemano sulla barella e la portano fuori.
Li seguo.

«Posso salire con lei?», domando a uno dei paramedici.
Non la lascerò sola adesso, non posso permettere che se ne vada.
«Tommaso!», il mio nome è la cosa più odiosa che io abbia sentito, in questo momento.
Mi volto e la trovo lì, con un'espressione in volto indecifrabile.
«Dove vai?».
«Ivonne è su quell'ambulanza, vado con lei».
«Cosa significa che vai con lei?», Sofia mi si avvicina, alterata.
«Quello che ho detto! Ho chiamato io l'ambulanza, si è sentita male, non sarò tranquillo fin quando non saprò che sta bene».
«Avrà solo bevuto un po' troppo, non ti preoccupare», minimizza lei e io capisco di non averla mai odiata così tanto.
«Ragazzo, dobbiamo andare», il paramedico mi fa capire che non c'è tempo da perdere.
«No!», Sofia si aggrappa al mio braccio, per trattenermi.
Il paramedico sale sull'ambulanza e richiude i portelloni.
Qualcosa esplode.
Strattono Sofia e la allontano da me.
La stanno portando via senza di me.
«Vattene! Devo andare con lei», mi allontano, per dirigermi verso la mia auto e seguirli in ospedale.
«Tommaso! Sono io la tua ragazza, non lei!», Sofia mi corre dietro, ormai fuori di sé.
«Lo so, Sofia! Lo so!», le urlo contro, senza neanche voltarmi a guardarla.
Mi chiedo che senso abbiano ormai queste parole. La tua ragazza... non l'ho mai sentita così lontana da me, così sconosciuta.
Ho raggiunto la mia macchina, la apro con il telecomando e mi sento di nuovo trattenere da lei.

«È il mio diciottesimo compleanno, Tommaso, il compleanno della tua ragazza! Non osare andartene!», mi minaccia.
«Altrimenti?».
Non mi interessa una risposta, la allontano da me e apro lo sportello.
«Se te ne vai ora, il giorno del mio compleanno, tra noi è finita!», riprende a parlare ma ne ho abbastanza.
«Non me ne frega un cazzo dei tuoi diciotto anni, Sofia! Ivonne è dentro un'ambulanza e tu pensi a festeggiare! Sei pazza!».
«Tu vattene e tra noi è finita!», ripete, fuori di sé, mentre io sto ancora parlando.
«Bene! Allora considerati single! Mi fai un favore!», salgo in macchina e chiudo in fretta lo sportello.
Infilo la chiave e parto, sentendomi in ritardo.
Ho già perso troppo tempo.
Ho già perso...
Non voglio perdere anche lei...

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In ospedale arrivano le sue amiche, mio cugino Simone, Marco e i suoi genitori. Resto in silenzio, seduto a qualche sedia di distanza da loro.
Il dolore che provo mi isola dal mondo.
Sento parlare di allergia, di shock anafilattico, di pericolo di vita...
Sento...
Sento cose dentro di me che non sapevo di avere.
Cose che non capisco.
Cose che pensavo mi avrebbero protetto dal dolore e che invece mi hanno portato di nuovo qui, seduto su una sedia d'ospedale con il cuore appeso a un filo.
La morte mi fa paura.
Ma la morte di Ivonne mi fa ancora più paura.

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E così è stato Tommaso ad aiutare Ivonne... ma questo significa che non ha nulla a che fare con quanto accaduto? Potrebbe essersi accorto di aver esagerato, questa volta e aver cercato di rimediare in qualche modo...
Purtroppo non potremo saperlo prima di qualche mese ancora.

Non vedo l'ora di sapere cosa pensate del mio romanzo. Arrivare fin qui non è stato per niente semplice. Ci sono voluti mesi, anzi, anni. Questa storia è nata molto tempo fa e ha subito modifiche pazzesche. L'ho fatta valutare professionalmente e ho avuto consigli preziosissimi su come migliorarla.

Oggi sento di aver raggiunto una versione che mi piace, non credo assolutamente sia perfetta, ma è la mia storia, con Ivonne, una ragazza diversa dal solito, ma vera.

Non è la classica brava ragazza angelica, ma neanche la ragazza selvaggia agli estremi, è una ragazza, un'adolescente con tante sfumature come tutti noi. Volevo una protagonista che potesse rispecchiare la realtà, o, per lo meno, la mia realtà e questo credo di averlo fatto.
Spero di esservi arrivata. Con scelte sbagliate, scene inaspettate, giochi pericolosi e sentimenti contrastanti, con tutta me stessa, spero di avervi trasmesso delle belle emozioni.

Spero di vedervi anche nel sequel, BATTITI SBAGLIATI, perchè non smetterò mai di pensare che voi siete tutto per me. Uno scrittore, senza il suo lettore, rimane un sognatore.

A presto.

Un milione di baci questa volta!

BATTITI RUBATIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora