𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝟸

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Il barista di quello strano pub serviva i cocktail con una velocità allucinante, di sicuro le quattro lunghe e snelle braccia aiutavano a renderlo una scheggia dietro al bancone ma si vedeva che aveva alle spalle anche tanta esperienza in campo lavorativo. Chissà per quale motivo si trovava lì dentro, chissà com'era morto.

Mi facevo questa domanda ogni volta che i miei occhi si posavano su una persona diversa: mi domandavo quanti anni avessero, chi fossero stati nella vita e che cosa li aveva portati qui sotto. Forse mi scervellavo così tanto nel voler sapere le cause della morte altrui perchè non riuscivo a ricordare la mia.

Continuavo ad avere strani immagini nella testa, l'unica cosa che riuscivo a ricordare erano gli interni di uno strano saloon, la pioggia sul viso e una carta da gioco davanti al naso, oltre che all'infernale sensazione di dolore in mezzo al petto.

Che mi avessero investito un auto mentre cercavo di tornare a casa? Difficile, ricordo che era buio pesto e a quell'ora di macchina in circolazione ce n'erano sempre poche. Magari avevo avuto un intossicazione alimentare o qualcosa del genere, forse mi avevano avvelenato la cena ed ero schiattato nei bagni di quel locale nel mio stesso vomito.

Le varianti erano fin troppe e tutte molto plausibili dal momento che poteva anche essermi venuto un colpo di sonno durante guida ed essere quindi finito all'altro mondo andando a sbattere contro un albero sul ciglio della strada.

Tutti lì dentro però sembravano ricordare le loro vite passate con maniacale dettagliatezza: un ragazzo che mi si era affiancato per prendere da bere mi aveva beccato a fissargli lo strano muso da pesce che si ritrovava e mi aveva raccontato di come fosse stato ucciso e mangiato proprio da una di quelle creature che era solito uccidere per divertimento, gli squali. Ironia della sorte l'inferno aveva scelto di dargli proprio le sembianze di un piccolo squaletto dai denti appuntiti e mi aveva confessato di non essere l'unico ad avere quell'aspetto, ma che n'erano molti altri così come era pieno di lupi, gufi e di ragni molto spesso. Avevo così imparato che il pupazzetto animale in cui venivamo trasformati non era casuale o scelto con la ruota della fortuna, ma aveva un significato dietro che poteva variare o dalle cause della nostra morte o da qualcosa che ci aveva caratterizzati nella vita terrena: avevo visto una ragazza strisciare verso il bancone e provarci con un dannato dicendogli che era finita all'inferno per aver avuto la lingua troppo lunga, stava cercando di creare un doppiosenso perverso per ammaliare l'estraneo, ma dall'esterno io avevo capito subito che intendeva dire di essere stata una pettegola in passato. Non è un caso che si sia trasformata in una sorta di cobra gigante con la coda biforcuta, dal momento che le persone come lei dalle mie parti venivano definite proprio come delle serpi.

Io però non avevo idea del perchè fossi lì dentro o del perchè avessi questo bizzarro e strano aspetto confuso: non ero di certo un gatto, avevo il muso troppo lungo e mi mancavano i caratteristici baffetti da micio ma non potevo nemmeno definirmi un lupo perchè tutti quelli che avevo visto fin'ora avevano dei lineamenti molto più marcati rispetto ai miei. Che fossi una specie di leopardo senza macchie o qualche bizzarro incrocio? In fondo avevo sentito delle voci dire che alcune razze canine a me note erano in realtà state create dagli umani attraverso gli allevamenti e la fecondazione forzata, non potevo dunque essere uno di quegli strani mettici nati sulla terra da falliti esperimenti malsani?

Probabile, potevo essere una nuova razza animale col muso di un canide ma i morbidi lineamenti di un felino. Chissà come mi avrebbero chiamato sulla Terra, forse gatto mannaro o qualcosa di simile? Non ne avevo idea.

Continuavo a sorseggiare i drink che il barista mi metteva davanti uno dopo l'altro senza nemmeno sapere da che cosa fossero composti, avevano tutti dei colori sgargianti e un composto piuttosto melmoso ma non erano poi così disgustosi, a parte quello giallo piscio che sapeva veramente di urina andata a male.

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