2.

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Una settimana dopo il loro incontro i genitori di John partirono per l'Europa, un viaggio lungo ben otto mesi attraverso tutti gli stati. John avrebbe di gran lunga preferito occuparsi da solo del ranch, piuttosto che avere ad "aiutarlo" una persona come Dylan. Lui era indubbiamente bellissimo, affascinante e ironico, ma anche egocentrico, fastidioso e malizioso. Per John era una tortura avercelo sempre appiccicato. Erano mesi che non faceva sesso con qualcuno e avere il corpo di un adone greco in giro per casa, non aiutava affatto.

Era nella prateria a far pascolare la loro giovane giumenta, quando, mentre si sfilava la maglietta a causa del caldo torrido di quel giorno di inizio giugno, sentì provenire dalla sua sinistra un fischio di apprezzamento. Girò di scatto la testa verso il suono e incontrò due occhi neri, pieni di malizia. I due si scambiarono sguardi di fuoco in silenzio e quando Dylan staccò il suo sguardo dal viso di John, lo puntò sul suo corpo mezzo nudo e sudato. Nel farlo si passò ripetutamente la lingua sulle labbra, come se stesse guardando il suo dolce preferito attraverso la vetrina di una pasticceria. Quel gesto provocò in John un brivido che lo percorse dalla testa ai piedi, quanto avrebbe voluto essere lui a passare la lingua tra quelle labbra rosa...
John scosse la testa, come a voler scacciare quel pensiero inopportuno e con un cipiglio sul bel volto si rivolse allo scocciatore.

«Cosa vuoi? Ho da fare.» Dylan in tutta risposta si avvicinò di qualche passo verso di lui, come un ghepardo farebbe con la sua preda.

«Non fare un altro passo Dylan, ti avverto.» Disse, ma invece che suonare come un ordine da non infrangere, sembrò più un miagolio di un gattino spaventato. Dylan infatti sorrise, pregustando ciò che avrebbe fatto subito dopo. Allungò una mano verso il petto di John, quando mancavano pochi centimetri dalla pelle abbronzata e calda, il polso di Dylan venne afferrato dalla mano grande e forte del moro. Il ragazzo alzò lo sguardo verso l'altro e trovò il suo bel volto con le sopracciglia scure aggrottate e una strana luce negli occhi.

«Perché hai così paura John? Non sei mai stato toccato da un altro uomo?» Le sue parole erano come veleno per il moro, riportarono a galla tutti i ricordi dell'ultimo anno di liceo, subito dopo l'accaduto con James. Flash di armadietti sfasciati con scritte in rosso, insulti negli spogliatoi e nei bagni e quella notte nel sottopassaggio...
«Hai perso la lingua adesso? Per caso non hai mai fatto sesso? O l'hai fatto ma non come si dovrebbe e il tipo è scappato ridendo? » Non riusciva a respirare, le gambe accusavano di cedere da un momento all'altro, la gola era chiusa in una morsa e tremiti gli percorrevano il corpo gelato.

«B-Basta, tu d-di me non sai n-niente. Basta... smettila. Non sai niente, niente. Zitto! Devi stare zitto!» Era terrorizzato, davanti agli occhi non vedeva il viso di Dylan, ma quello dei ragazzi che quella notte lo picchiarono fino a fargli perdere i sensi, dopo di che aveva solo dei flash confusi di qualcuno che gridava e lo portava via. Il giorno dopo si svegliò in ospedale.

«Che c'è, adesso hai trovato il coraggio di rispondere? Devi essere rimasto molto traumatizzato da adolescente se sei così fragile.» Nel sentire quelle parole rivivette quel momento in pieno, il dolore, le loro risate, le sue urla... tutto. Crollò a terra in preda a forti scosse di dolore, ma non pianse nemmeno un lacrima, solo singhiozzi muti. John alzò lo sguardo e trovò Dylan in ginocchio davanti a lui che ne studiava il volto, aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito dopo.

«Io ero lì John, io c'ero.» John si allontanò di scatto da lui, come se avesse preso la scossa, sperava solo di aver capito male.

«C-cosa? Tu eri lì con quei vigliacchi e hai il coraggio di starmi vicino?» Nella sua voce traspariva tutto il dolore e l'odio verso quegli sporchi individui. Dylan strabuzzò gli occhi.

«Cosa... No! Ma che hai capito? Io stavo girando con dei miei amici e i miei fratelli, abbiamo sentito delle urla, così siamo venuti a vedere. Siamo rimasti pietrificati da ciò che abbiamo visto: eri circondato da sei o sette ragazzi che ti stavano picchiando, due di loro erano intenti a slacciarti i pantaloni. Siamo subito intervenuti, tu però eri già privo di sensi. Sono stato io a portarti in ospedale e a chiamare i tuoi genitori. Ti ricordi di George e Ryan?» John stava lentamente elaborando le informazioni, ma non ricordava niente, solo tanto dolore e urla.

«S-sì, erano miei compagni di squadra, perché?» Lui fece un sorrisino e abbassò per un momento la testa, tornando serio disse con tono tranquillo.

«Sono i miei fratelli più grandi, sono stati loro e sentire le urla per primi. Sempre loro sono riusciti a prendere quei bastardi e a dargli una lezione. Mentre ti portavo in ospedale, hai aperto gli occhi e mi hai accarezzato il viso. Mi dicesti che ero il tuo angelo custode dagli occhi neri.»

«Io... Non lo so Dylan, di quella notte ricordo solo il dolore e basta, non ricordo neanche che siete arrivati voi. Perché mi hai urlato quelle cose prima, se sai cosa ho passato?» Chiuse la bocca di scatto e contrasse la mascella. Poi in fine rispose.

«Anche se non è una giustificazione, solo pensare a quell'accaduto mi fa incazzare come non mai e mi sono lasciato trasportare dalle emozioni. Scusami...» Appena ebbe finito di parlare abbassò lo sguardo e poté osservare il suo viso, non c'era traccia di cattiveria nella sua espressione, solo una profonda rabbia. Così il ragazzo avvicinò il viso dell'altro al suo, sfiorando le sue labbra con le proprie e soffiò poche parole su di esse.

«Provami che avessi ragione quella notte, dimostrami che sei il mio angelo custode dagli occhi neri.» Detto questo, John si alzò dall'erba verde con uno scatto, recuperò la maglietta e il cappello a tesa larga e si allontanò. Si chiuse la porta di legno della scuderia alle spalle e vi appoggiò la schiena contro, passandosi una mano tra i capelli sudati borbottò tra sé.
«Ne vedremo delle belle...»

Don't lie to me, baby.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora