Sofia

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Le sue mani stringevano il mio collo con fermezza, non riuscivo a respirare e cominciavo a perdere i sensi. I miei pensieri correvano su mia madre, alla nostra vita insieme e alle tante cose che dovevamo ancora fare. La pressione aumentava costantemente, mentre la stanza si avvolgeva in una penombra inquietante.

Poche ore prima...

La nostra villetta, appena fuori città, sembrava un rifugio sicuro e tranquillo, un luogo dove poter fuggire dal caos del mondo esterno. Con le sue pareti color crema e il giardino rigoglioso, era il posto perfetto per una madre amorevole e sua figlia adolescente. Mia madre, con il suo sorriso dolce e i suoi occhi luminosi, era il mio punto di riferimento, la roccia su cui potevo sempre contare. Nonostante le difficoltà che avevamo affrontato, era riuscita a trasformare la nostra casa in un luogo accogliente e sicuro, un rifugio in cui potevamo affrontare insieme le sfide della vita. A tenerci compagnia c'era Ginger, il nostro affettuoso gatto arancione, che con le sue buffe acrobazie riempiva la casa di allegria e vitalità.

La giornata trascorse come al solito, tra i banchi di scuola e le lunghe chiacchierate con gli amici. Amavo immergermi nei libri e sognare mondi lontani, distaccandomi spesso dalla realtà cupa che mi circondava. Ed è per questo che, solitamente, rimanevo chiusa in biblioteca fino all'ora di cena. Tuttavia, quel giorno decisi di tornare un'ora prima per aiutare mia madre a fare la spesa.

«Non fare tardi stasera, ho bisogno del tuo aiuto!» mi disse, poco prima di uscire di casa.

Così feci ritorno a casa prima del previsto, notando che le luci del vialetto erano spente, tranne quella bianca proveniente dal garage. Quel rifugio per "veri uomini", come lo chiamava il nuovo compagno di mia madre, era stato aggiunto tempo dopo il nostro trasferimento. Passai accanto come al solito, dirigendomi verso il campanello all'esterno della grande porta del garage, ed entrai in casa.
Daniel, il compagno di mia madre, sembrava un uomo gentile e premuroso, pronto a offrire il suo sostegno in ogni occasione. Tuttavia, dietro il suo sorriso affabile si celava un'ombra oscura, un segreto che avrebbe sconvolto le fondamenta della nostra famiglia.

Il sottile stridio della porta del garage mi fece sobbalzare mentre ero intenta a studiare nella mia stanza. Mia madre era uscita per fare la spesa senza di me, lasciandomi un biglietto sul frigo. Chi poteva essere, allora? Guardai fuori dalla finestra e vidi Ginger, attirato dal rumore, entrare nel garage. Corsi fuori, preoccupata che Daniel potesse reagire male alla sua presenza. Avevo sentito storie di come avesse trattato animali che osavano avvicinarsi al suo territorio.

«Ginger!» lo chiamai a bassa voce. Nessuna risposta.
«Ginger, vieni qui!» riprovai sperando di attirarlo.

Un rumore proveniente dal fondo della stanza mi fece rabbrividire. Mi voltai e vidi Ginger graffiare una porta. "Da quando c'è questa porta in più?" mi chiesi.
Mi avvicinai per prendere Ginger e portarlo via, ma qualcosa all' interno della stanza attirò la mia attenzione.

Un tonfo.
Un rumore di qualcosa che sbatteva contro il muro. Presi Ginger tra le braccia per tenerlo al sicuro.
Ancora un altro tonfo.
Con il cuore che batteva all'impazzata, mi avvicinai cautamente e spalancai la porta. Ciò che vidi mi fece trattenere il respiro: corpi immobili giacevano nel buio, alcuni affiancati, altri appesi. Al centro della stanza c'era una barella con sopra un corpo che si agitava, le mani legate e le gambe bendate. Entrambe amputate.
Indietreggiai, sentendo il mio stomaco contorcersi tra terrore e disgusto. Non potevo credere che qualcosa del genere potesse accadere nella nostra famiglia. Ed è allora che la verità mi colpì: Daniel, il compagno di mia madre.

Sentii il vomito salire in gola mentre il mio cervello tentava di assimilare la terribile verità. Daniel, l'uomo che mia madre amava e in cui confidava, era un serial killer. Le voci che circolavano da qualche giorno, le persone scomparse e ritrovate settimane dopo con varie amputazioni, tutto aveva senso. Ma come avrei potuto dirlo a mia madre? E se mi avesse scoperta?
Le mie gambe vacillavano mentre cercavo di tornare indietro, ma era troppo tardi. Una voce, fredda e tagliente come il ghiaccio, risuonò alle mie spalle.

«Che ci fai qui, Sofia?»

Mi voltai lentamente, incontrando lo sguardo di Daniel, ora privo di ogni traccia di gentilezza. Solo freddo e malvagio.

«Tu..tu sei un..un assassino!» balbettai, cercando di nascondere il terrore che mi pervadeva.

Un sorriso malevolo si dipinse sul suo volto.

«E tu sei una ragazza molto curiosa. Peccato che le persone curiose tendano a incontrare brutti incidenti.»

Quell'ultimo commento fece scattare qualcosa dentro di me. Dovevo avvertire mia madre, dovevo proteggerla da lui. Ma prima dovevo salvarmi.
Con un movimento repentino, Daniel si lanciò verso di me, la sua mano protesa per soffocarmi. Riuscii a schivarlo di un soffio; il mio cuore martellava nel petto mentre cercavo disperatamente una via di fuga. Ma lui mi raggiunse inevitabilmente, sbattendomi contro il muro con le sue enormi mani attorno al mio collo. Più stringeva, più sentivo le forze abbandonarmi.
Fu allora che Ginger, il nostro fedele compagno felino, entrò in azione. Con un balzo agile, si arrampicò sulla schiena di Daniel e, graffiandolo, lo costrinse al dolore, facendogli allentare la presa su di me e liberandomi.
Il frastuono che seguì ci diede il tempo prezioso di cui avevamo bisogno. Mamma tornò a casa, il panico dipinto sul suo volto quando ci trovò nel garage; il confronto divenne imminente.

Scappammo in macchina per allontanarci da quel luogo, ma lui fu più veloce. Prese me tra i capelli e mi strattonò via, cercando di riportarmi dentro quel garage.
Sentii le urla di mia madre. Lei cercò di fermarlo come poteva, ma era alto 1.90 per 90 kili, un bestione di uomo contro una persona più esile. Fu in quel momento che vidi uscire fuori da lei una forza che non credevo possibile. Prese il fucile preferito di Daniel, che teneva sopra il suo banco da macello, e sparò un colpo. Il primo fu in aria, forse per spaventarlo o forse perché sbagliò mira. Daniel si girò lasciandomi finalmente i capelli, ma corse subito da lei. Mentre lui la picchiava, io non persi tempo.
Un colpo dritto alla testa.
Non dimenticherò mai il suo sguardo, pieno di sangue, mentre fece qualche passo verso di me prima di crollare per terra.
Tremante, feci cadere il fucile ai miei piedi e corsi da mia madre, abbracciandola forte.

Era tutto finito.
E così, con il nuovo giorno, iniziammo il lungo cammino verso la guarigione, più forti e più unite di prima. Perché, nonostante tutto, sapevamo che niente avrebbe mai potuto distruggere il legame indissolubile tra madre e figlia.


Ciao a tutti, spero che questa piccola storia breve vi sia piaciuta. Lasciate un like o un commento per sapere cosa ne pensate, grazie! :)

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