Capitolo 1

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TW: linguaggio scurrile, menzione di disturbi mentali.



Il mal di testa aveva iniziato a disturbarla già dalle cinque del mattino. Era quasi certa che fosse dovuto al tentativo di programmare la prossima intervista. Tentativo reso comunque vano dall'insistente miagolio di Felicity, la gatta della vicina, che nel pieno del suo estro amoroso chiamava a sé i pretendenti, lasciandola sveglia fino alle tre.

In realtà, da qualche mese a quella parte si era resa conto che più si sforzava di apparire credibile nelle parole che concatenava, meno il discorso risultava comprensibile. Quale meritava la priorità? Chiarezza vocale o efficacia comunicativa? Era sempre stata una dannata perfezionista, ma mai fino a quel punto. Poteva darsi che l'incombere dei prossimi trentatré anni la stessero rendendo più vulnerabile allo stress e meno all'altezza delle aspettative?

Ecco perché Nora preferiva i podcast. Nessun impedimento, a differenza del suo lavoro quotidiano di giornalista, dove la sua voce rischiava di essere interrotta costantemente e non poteva esprimersi come meglio voleva. Dove lavorava, alla redazione del Daily Covington, non si sentiva mai davvero ascoltata. Quattro anni erano trascorsi come piume portate via dal vento. Si sentiva esattamente così: come una piuma trasportata da una corrente non piacevole, ma neanche violenta come quella di un uragano.

L'uragano, quel giorno, era lei. In pieno ciclo mestruale, le fitte all'utero le ricordavano quanto detestasse essere nata donna e quanto detestasse i ghigni beffardi sui volti di alcuni colleghi, come Josh e Corton, che quel giorno avevano iniziato a squadrarla prima ancora che varcasse la soglia degli uffici. La sua presenza era già preannunciata dalla grande finestra in vetro degli uffici che dava sui corridoi. Da un lato era meglio così, che ricevere gli sguardi curiosi di tutti quando si apriva la porta e non si sapeva chi stesse entrando.

Cos'avevano da ridere? Possibile che fossero così beceri da trovare divertente ogni cosa che la riguardasse? Cos'era, quel giorno? I suoi capelli più sfibrati del solito? Il bottone della camicia che le era saltato quello stesso giorno?

Nora superò i due colleghi e ignorò le loro risatine, così come il loro odore acre di sudore cipolloso. Per un momento una preoccupazione la invase: e se fosse stata lei a fare cattivo odore? Il pensiero la fece rabbrividire e provare disgusto, ma subito dopo si aggrappò alla consapevolezza che gli esseri umani non disponessero di un olfatto così sviluppato come quello di altri mammiferi. Spesso si preoccupava di sé stessa e dei pensieri che generava la sua mente affollata, mentre navigava in quel mare di follia.

Sorpassò altri colleghi come se stesse facendo lo slalom in una strada trafficata, come quelle volte in cui dimenticava di rispettare il codice stradale perché quello stronzo di Mannix le dava incarichi di massima importanza all'ultimo minuto e sempre e solo ai confini di Covington, se non addirittura fuori città.

Quell'uomo era il più sadico dei bastardi, un uomo che riversava la sua frustrazione maschilista e il suo ego minuscolo nelle donne di cui si circondava.

Eccola, la più cara delle sue ancelle: Marina Marchetti, una biondina con un corpo invidiabile che per qualche ragione era convinta che Mannix favorisse Nora al suo posto, pur essendo al corrente di quanto si impegnasse per farla arrivare a fine giornata coi nervi a fior di pelle.

La tipica espressione di Marina era di costante tedio, un tedio nervoso, che manifestava nella sua furiosa masticazione di gomme che esibiva in palloncini rigorosamente scoppiati in faccia a chi le parlava.

Nora pregò tutte le forze dell'universo affinché Marina non le rivolgesse la parola, e se doveva farlo, sperava in un atto di miracolosa gentilezza. Naturalmente non avvenne. Marina le si parò davanti poco prima che Nora prendesse posto alla scrivania, il suo antro lavorativo isolante.

Il demone di New OrleansDove le storie prendono vita. Scoprilo ora