Capitolo 3

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Non poteva essere vero. Era uno scherzo. Lauren aveva sbattuto la testa, o mi stava prendendo in giro. Io e lui non potevamo sopportarci, come avremmo potuto passare un'ora intera allo stesso banco?

Avrei voluto mettermi ad urlare. L'intervallo terminò troppo presto, e dovemmo tornare in classe. Seguii la treccia di Lauren, affranta. Quel primo giorno non sarebbe potuto andare peggio.

L'aula di matematica era piccola, ma avevo sempre adorato le grandi finestre che la illuminavano, facendo entrare la frizzante brezza autunnale. In quel momento, però, persino i banchi disposte in file ordinate sembravano essermi avversi.

«Dove devo mettermi?» dalla mia voce sembrava stessi chiedendo informazioni per dirigermi al patibolo. E in fondo era proprio così.

«Nell'angolo in fondo» mi rispose Lauren. Sembrava dispiaciuta per me.

Mi diressi al mio nuovo posto, angosciata. Non solo il mal di testa, avrei anche dovuto sopportare la presenza di quell'arrogante per tutta la durata delle lezioni. Si prospettava una tortura.

Osservai i miei compagni prendere posto nel momento in cui il professore entrava. A vederlo, più che un insegnante di matematica sembrava un allenatore di calcio. Era sulla quarantina, carismatico e affascinante.

Tutte le ragazze gli sarebbero probabilmente morte dietro, se non fosse stato per la materia che insegnava. E il suo piacere perverso nel mettere insufficienze, in particolare alle studentesse dalle trecce rosse poco inclini a studiare.

Quando era arrivato, lo scorso anno, credevo mi avesse preso in simpatia. E non mi sbagliavo. Quando mi notò mi lanciò un sorriso ammiccante. Ma perché, perché se ero la sua preferita, mi aveva messo vicino lui?

Attesi il momento in cui si sarebbe seduto al mio fianco con i nervi a fior di pelle. Intanto, la mia mano sinistra si muoveva a svolgere equazioni e sistemi, con una logica impeccabile.

I minuti passavano, e di Hart nessuna traccia. Quando, a metà lezione, il posto accanto al mio era ancora vuoto, mi resi conto che non sarebbe venuto nessuno.

Non riuscii a trattenere un sorriso soddisfatto. Per quel giorno l'avevo scampata. A fine lezione mi alzai di scatto, facendo strusciare la sedia.

La testa cominciò a girarmi, la realtà divenne confusa. Mi tenni al banco, cercando di respirare. Il giramento, fortunatamente, passò alla svelta.

Quando mi guardai attorno, notai che la classe si era svuotata. Solo Lauren era rimasta, appoggiata allo stipite della porta. Mi squadrò, preoccupata.

«Tutto ok?» chiese.

«Sì...sto bene» soffiai.

Lei inclinò la testa di lato, studiando le occhiaie sul mio viso. Abbassai la testa, a disagio. Tutte quelle attenzioni mi facevano sentire terribilmente sbagliata.

«Sai una cosa?» dissi, riprendendo il controllo di me stessa «Credo di avere un bisogno assurdo di zuccheri. Ora vado a prendere qualcosa da mettere sotto i denti»

«Ti accompagno» mi propose, ma io scossi la testa.

«No, faccio da sola» avevo bisogno di riordinare i pensieri. E ricordarmi la combinazione dell'armadietto.

«Ci vediamo a lezione» la salutai. Mentre mi allontanavo, tormentai la manica della felpa nera che indossavo. Non era stata una bella scelta. Accentuava il colorito pallido della mia pelle lattea.

Mi incamminai nel corridoio, senza la minima voglia di fare in fretta. In quel momento, sentii che non avrei retto l'ultima ora di lezione.

Raggiunto il mio armadietto, appoggiai la zaino a terra, stravolta. Almeno, però, ora ricordavo il codice per aprirlo. Era abbastanza semplice, in realtà.

9 dicembre, la mia data di nascita.

L'anta si aprì con un cigolio, rivelando il piccolo spazio vuoto al suo interno. Prima, sticker e brillantini ricoprivano le pareti metalliche. Ma quando tutti avevano creduto che fossi morta, l'avevano svuotato.

Mi sentii come se avessero cercato di cancellarmi.

Sistemai le mie cose, cercando di non lasciarmi sopraffare dallo sconcerto. Presi la mela che mi ero portata, e strinsi il frutto, bramando di addentarne la buccia rossa e brillante.

Fu in quel momento, mentre chiudevo l'anta metallica, che un'ombra oscurò la mia visuale. Mi irrigidii, improvvisamente incapace di respirare. La testa ricominciò girarmi, come fossi appena scesa dalle montagne russe.

La sua presenza impregnava l'aria con irruenza, rendendola irrespirabile.

Mi voltai verso di lui, il cuore che batteva all'impazzata, grondante di odio.

Hart mi guardava, con quella scintilla arrogante e maliziosa che non smetteva mai di brillare quando si rivolgeva a me.

Affondai le unghie nel frutto che tenevo tra le mani. Tirai su il mento, sfidandolo a parlarmi. E lui, ovviamente, accettò la sfida.

Appoggiò una braccio sopra la mia testa, intrappolandomi tra il suo fisico scolpito e gli armadietti.

«Vedo che ti sei svegliata, Principessa» modulò, e le sue parole mi accarezzarono il collo, oscure e provocanti.

Strinsi i denti. Come si permettava? E poi cos'era quel nomignolo? Da quando ero diventata la sua principessa?

Non mi aveva mai parlato, prima d'ora. Al contrario, era sempre sembrato che mi disprezzasse.

Osservai il suo petto marmoreo avvolto in una maglia chiara, il sorriso smagliante, come si stesse divertendo un mondo.

Non si sarebbe dovuto permettere, di trattarmi in quel modo. Io non ero il suo giocattolo. Non mi sarei mai piegata a lui e ai suoi giochi come avrebbero fatto le altre. Avrei preferito spezzarmi, piuttosto.

«Non chiamarmi così» mormorai. Avrei voluto suonare più minacciosa, ma non ci riuscivo. Il suo sorriso si allargò, illuminando il viso da angelo maledetto.

Un sacco di ragazze avrebbero ucciso per ricevere quelle attenzioni. Ma non io. Io, di cacciatori travestiti da principi ne avevo abbastanza.

«Come se non ti piacesse...» sussurrò.

Avevo la nausea, volevo scappare, ma il suo corpo mi bloccava.

Senza darmi il tempo di ribattere, prese la mela che ancora stringevo con veemenza, come se fosse un'ancora a salvarmi dall'uragano che avevo dentro.

All'istante le mie dita si allentarono, arrendevoli, lasciandolo fare. Hart si portò lentamente il frutto alla bocca, senza smettere di osservarmi.

Lo schiocco del suo morso mi rimbombò nel petto, e l'odore acidulo della mela, mischiato al suo profumo in un connubio perfetto, pizzicò il mio naso.

Deglutii, decisa a farmi valere.

«Quella era mia» pronunciai. Sentivo le ginocchia tremare.

Sperai che lui non se ne fosse accorto.

«Oh» soffiò «volevo solo accertarmi che non fosse avvelenata...»

Le sue parole mi circondarono, annebbiando ogni mio pensiero. Feci in tempo a vedere un'ultima scintilla nei suoi occhi, prima che Hart si voltasse e mi lasciasse sola.

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