Capitolo 11

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«Cosa voleva Moore?» Lauren cominciò ad interrogarmi appena uscimmo dallo spogliatoio.

Mi strinsi nelle spalle, mettendomi sulla difensiva.

«Niente, è il solito idiota» mormorai.

Avevo voglia di tornarmene a casa. Il mio morale era a terra, qualcuno si era preso il mio cuore e lo aveva trasformato in un sacco da boxe. E neppure ne capivo il motivo.

«Non mi piace» disse, lanciando un'occhiata innervosita al diretto interessato.

E non era l'unica. Tutti lanciavano sguardi curiosi nella sua stessa direzione, come se Moore fosse l'attrazione migliore di quell'intervallo.

Hart era seduto su uno dei banchi ai lati del corridoio, e la ragazza di prima giocherellava con le sue ciocche dorate. Sul viso aveva l'espressione dannata di un principe maledetto.

Mi si strinse lo stomaco, quando lui rispose a tutte quelle attenzioni avvicinando le sue labbra all'orecchio della ragazza, sussurrandole qualcosa.

Non capivo cosa mi stesse succedendo. Hart si stava comportando esattamente come mi aspettavo che facesse.

La ragazza, una bionda del terzo anno così truccata da sembrare di plastica, ridacchiò, portandosi una mano di unghie laccate di rosa davanti alla bocca.

Sapevo già, cosa sarebbe successo di lì a poco. Hart si sarebbe fatto desiderare, ma poi l'avrebbe rifiutata, mandando in cenere ogni sua sicurezza.

Lo odiai, per come la stava prendendo in giro. Avrei voluto urlare alla bionda di stargli lontano, avrei voluto che quella maschera che Hart ostentava si frantumasse in un migliaio di pezzi, mostrandolo al mondo per quello che era.

«Ciao ragazze!» una voce acuta e sottile ci fece voltare.

Una ragazza minuta ci sorrideva, i lunghi capelli castani che le contornavano i lineamenti delicati. Gli occhi blu di Kate brillavano, quando noi rispondemmo al saluto.

Doveva essere appena tornata dal suo viaggio, in Messico o in qualunque altro posto fosse andata, e sfoggiava un'abbronzatura luminosa, qualche lentiggine in più sul viso da fata.

Sapevo esattamente cosa il suo ritorno significasse. Non ci sarebbero più stati posti liberi durante l'ora di matematica.

«Allora, come andiamo?» si mise a chiacchierare con noi, cominciando a raccontarci ogni cosa del suo viaggio.

«E i ragazzi, diamine, il loro accento spagnolo è così...» non prestai molta attenzione alle sue parole.

Chissà se Kate lo sapeva, che con il suo ritorno mi aveva condannato.

Lei e Lauren continuarono a ridere e scherzare per il resto dell'intervallo, ma io non riuscii a unirmi alla loro ilarità.

Strinsi le labbra, quando altre ragazze si unirono a noi, circondandoci. Le riconobbi subito, con le code alte e i fisici atletici.

Erano le stesse ragazze che avevano occupato il campo da beach volley per tutta l'estate. E loro non avevano lo stesso tatto di Lauren e la delicatezza di Kate.

Mi sentii in difetto, un pesce fuor d'acqua, quando cominciarono a conversare allegramente. Le invidiai un po', per la loro sicurezza, come se a loro non importasse nulla del giudizio degli altri. Non che avessero qualcosa di cui preoccuparsi, perfette come erano.

«Allora» esordì una a un certo punto, una ragazza con dei meravigliosi capelli lisci, dello stesso colore del cioccolato «chi viene alla festa di questo sabato?»

Mi freddai, e così fece Lauren, la schiena improvvisamente rigida, ma fummo le uniche ad avere quella reazione. Le altre cominciarono a mormorare eccitate.

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