Parte Terza

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Era un paesaggio strano, quasi una giungla africana. Il caldo era opprimente e ci si doveva fare strada con il machete, per attraversare tutta quella boscaglia, piena di vegetazione bellissima e al contempo incolta. Vitaccia era vestito da esploratore della foresta, con un tocco cafone da Mr. Crocodile Dundee, quello del film con Paul Hogan degli anni Novanta, non il personaggio australiano realmente esistito. Il detective era in compagnia di Paola, abbigliata fra film avventuroso e puntata di "Hazzard". Era bellissima e tosta in quel contesto, anche perché gli animali più pericolosi tipo serpenti o insettacci vari li fronteggiava lei. La sua metà ne aveva il terrore.

Dal tipo di vegetazione e di fauna che circondava quel paesaggio, Vitaccia intuì di trovarsi proprio in Africa, anche se non intuì perché minchia stesse lì, oltretutto insieme alla sua ragazza.

Una specie di coleottero, grande quanto un merlo, gli planò a bruciapelo sulla testa. Vitaccia, istericamente, urlò e Paola lo scacciò come fosse un comune insetto alato. Avanzando per quella giungla incontaminata, una scimmietta pisciò sulle scarpe di Vitaccia. Lui si incazzò e bestemmiò. Il piccolo primate rise e fuggì.

"Ah Gogolak! Se sei te, questa me la paghi! Hai capito??" minacciò il detective.

"Ma lascialo in pace, quel poveretto, amore. È così bello, qui!" lo rincuorò Paola, baciandolo sulle labbra.

"Bello 'sta ceppa, Pà! Tutti 'sti insetti, 'sta gramigna, 'e scimmie che me pisciano addosso! E poi, metti che se pijamo 'na malattia o incontramo un leone..." replicò lui, catastrofico.

"E che palle di fidanzato che sei! Me sembra de parlà cò mì padre! Un po' di avventura, dai..." fece Paola, esortandolo a rilassarsi.

"Ah Pà, te ricordo che poco fa erano le undici de sera a Guadovecchio a casa mia e stavamo in camera da letto. Mo è giorno in qualche aperta boscaglia africana! Te pare normale 'sta cosa!? Vestiti così, poi! Ma manco nei cartoni animati trovi persone conciate così! Pè me è tremenda, è!"

Paola sbuffò e lo prese sottobraccio per trascinarlo ancora nella camminata, che non aveva una meta, a dirla tutta. Vitaccia sbuffò ed assecondò per inerzia la ragazza, quasi trascinando i piedi.

Proseguendo, i due udirono in lontananza dei rumori. Inizialmente erano poco chiari, ma, avanzando di qualche metro, erano più definiti e parevano seguire un ritmo. Erano come delle percussioni suonate ossessivamente. Incuriositi, Vitaccia e Paola avanzarono ancora, finché il rumore di quei tamburi non si fece assordante.

"Sembrano dei djembè!" esclamò Paola, in quel caos di percussioni predominante.

"Come? I cazzi del re??" fece Vitaccia, non sentendo più nulla.

"HO DETTO CHE SEMBRANO DEI DJEMBÈ!"

"AAAAH, LI TAMBURI! C'HAI RAGIONE!"

I due continuarono a camminare, seguendo i tamburi come un sonoro filo d'Arianna. Dopo una trentina di metri, si ritrovarono in un campo fatto con terra battuta, disseminato di croci e lapidi. Alcune di queste, ornate con piccoli gioielli, lumini e fiori. Intorno a queste, almeno una cinquantina di persone di colore, uomini e donne, che ballavano invasate, facendo ondeggiare freneticamente le loro vesti lunghe e variopinte ed i loro vistosi monili. Lateralmente al piccolo cimitero danzante, due file parallele di altri uomini di colore che suonavano ossessivamente quei tamburi fino a spellarsi le mani. Con quel ritmo, sembravano ipnotizzare gli altri che ballavano. Gli stessi suonatori sembravano battere su quelle pelli di animale come fossero in stato di trance o estasi mistica.

Al centro del piccolo camposanto, un uomo calvo, di colore, molto alto, molto magro e con una barba bianca incolta. Salì in piedi su una delle tombe più grandi. Aveva dei pantaloni larghi e coloratissimi con disegni tipici del continente nero, sopra indossava un frac viola ed in testa un cilindro dello stesso colore. Sotto la giacca del frac, il petto era nudo e al collo erano appese diverse collane fatte con ossi.

Dovevano Essere MortiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora