1 - Nuova fine e vecchio inizio

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Non dimenticherò mai il giorno in cui tutto ebbe inizio: non era un giorno come tanti, pioveva tanto sia fuori che dentro te.
Ci avevano presentati anni prima, il tuo ragazzo ed il mio erano compagni di classe e poi rimasti vecchi amici negli anni dopo il liceo, e ci incontrammo più di qualche volta, forse due o tre.

Ma nulla sarebbe paragonabile a quel giorno e a tutto ciò che venne dopo.

Una parte di me crede sinceramente possa essere stata tutta una fantasia, che abbia vissuto qualcosa di cui sono l'unica testimone, ma poi mi guardo intorno e c'è tutto di te intorno a me. Se ti ho sognato, è stato bello finché è durato ma, so che ci sei stato, perché ancora oggi riecheggia il rumore che facesti quel giorno.

Lo stesso suono di una serratura che si apre sotto la pioggia e da quando la senti, qualcosa in te scatta e tornare indietro è impossibile. Ecco cosa sento ogni volta che penso a te.

Alla nostalgia che mi accompagna, al dolore che quel giorno, a casa di Falsità, ti ho sentito dentro al cuore. Eravamo "amici di amici", non dovevi essere lì con lei, sei stato un imprevisto, qualcosa completamente fuori dai piani.

Ma poi tu sei entrato, i capelli che ti bagnavano il viso più bello che avessi mai visto. Ricordo come ti scendevano sulla fronte e come i tuoi occhi verdi si lasciavano incorniciare e mai ingabbiare.

Ricordo quanto erano rossi quel giorno, mentre fumavi fuori al suo giardino, accovacciato a terra, tra silenzi e lacrime. La tua voce era spezzata, come del resto ogni parte di te.
Quel giorno ebbi la presunzione di pensare che potesse essere stato il giorno più brutto della tua vita, non sapevo ancora quanto mi sbagliavo.
Il suono che dovevi aver sentito tu quel giorno, invece, doveva essere di una serratura che si chiudeva per sempre, lasciandoti fuori. Non l'avresti mai accettato, eppure avresti dovuto.

Chissà come sarebbero oggi le nostre vite, se quel giorno tu l'avessi fatto. Negli anni mi è capitato di pensarci, di pensarti. Mi ponevo mille domande ed attendevo ogni risposta che l'universo si concedeva di darmi.
Un giorno, non ricordo quando, un po' di tempo fa ormai, ho smesso.

Eppure, nonostante il temperamento passionale e focoso che ti apparteneva – e che forse t'appartiene ancora – eri inerme. Non t'importava della pioggia che continuava a picchiarti forte, colando sui tuoi vestiti e raggiungendo rapida l'erba; quel giorno avevi altro a cui pensare.

Tredici ti aveva appena lasciato e tu eri spezzato. Non ho altre parole per descrivere come ti ho percepito quel giorno, fin dentro le ossa.
Sì perché con te è stata empatia a prima vista, a seconda vista ed anche a terza.
Ti avevo sempre ascoltato con orecchie diverse, che andavano oltre le parole, anche se fino a quel giorno erano state poche. Ma sai che l'ho fatto anche dopo, con te sempre e non avrei mai smesso... Forse non ho ancora smesso, ma non ho più modo di capirlo.

Io ricordo bene ciò che pensai quel giorno: "io sto bene, tutto nella mia vita sta a galla – non sapevo ancora quanto mi sbagliassi su tutto – e voglio aiutarlo, se c'è qualunque cosa che posso fare per lui e per farlo stare meglio, lo troverò e lo farò."

Ero rimasta in silenzio, incapace di trovare le parole giuste da dire a qualcuno che non si conosce affatto se non per quelle poche parole scambiate, e vederlo cadere sempre più a fondo.
Tutto era fermo, la nostra amicizia comune che doveva parlare, non disse nulla ed io ti guardavo, immobile, sperando che la pioggia cancellasse le mie lacrime perché l'attenzione non doveva essere proprio su di me.
Con te era impossibile attirarla a sé, ma ancora non lo sapevo.

Poi dicesti che dovevi prendere il treno per tornare a Roma, anche se non avevi proprio l'aria di qualcuno che voleva andarsene. Lo capii, avrebbe voluto dire iniziare a mettere distanza anche fisica tra te e Tredici, avviarti verso una vita di cui lui non faceva più parte, o meglio, di cui non voleva fare più parte, ma di cui tu hai mascherato il fantasma in ogni scelta successiva che prendesti.

Non avevi bisogno di solitudine, di piangere chiedendoti il perché di tutto quanto. In qualche modo lo sentivo che non avevi nessuno ad attenderti ed era proprio vero. Non avrei voluto fosse così, per te, nonostante credo questo abbia contribuito a renderci noi.

Per qualche strano motivo sentivo di volerci essere per te, così chiamai dentro Falsità, le chiesi di proporti di restare e che avrei trovato un altro modo quel pomeriggio per farti tornare a Roma.

Dicesti sì con gli occhi grati verso i miei.

Così dopo un'ora di chiamate e messaggi, mangiammo una cavolata ed arrivò Fiducia, la mia migliore amica, che c'avrebbe portati ad un bar e poi a casa tua.

Di quella sera ricordo tutto, ma particolarmente il modo in cui uscimmo a fumare e non rientrammo più.

Iniziai ad ascoltare ogni cosa mi raccontavi di te e anche ciò che c'era dietro, l'intensità con cui mi guardavi e ponevi l'attenzione su alcuni dettagli. Ah, i dettagli... Sono sempre stati quelli a fregarci.

Passarono le ore eppure in me il tempo era volato così rapido che non volevo salutarti quella notte, non volevo lasciarti andare, col rischio di perdere quell'incantevole e tragica notte che avevamo condiviso io e te. C'erano state altre persone intorno, un po' per tutta la giornata, eppure fuori a quel locale, con i miei amici che andavano e venivano, io avevo occhi solo su di te e sulle tue parole e so che lo stesso fu per te.

Quanto dolore mi ha provocato quel ricordo, i nostri occhi del medesimo colore, che si cercavano per conforto, per paura, per consiglio.
Ad oggi riesco solo a pensare a quanta magia sprecata ci sia al mondo, se ognuno di noi rinuncia così facilmente quando si trova una persona come noi davanti.

La chimica non si spiega, l'empatia men che meno, e quando scattano entrambe simultaneamente verso un'unica persona con cui sai per certo che non potrà mai esserci nulla e dalla quale non cercheresti mai nulla di più di un'amicizia, comprendi che o hai trovato qualcosa di raro e speciale, o sei fregato.

Per mesi, o forse anni anche se preferirei non ammetterlo mai, ho creduto fossi la prima, invece ero io ad essere fregata e una piccolissima parte di me forse quel giorno lo percepì. Sentì quella minuscola, piccolissima e remota possibilità che andasse tutto come già aveva fatto in passato, che saresti potuto diventare qualcuno per me, e non qualcuno a caso ma quel qualcuno per cui poi cambi ogni metro di paragone ed ogni scala esistente di giudizio sembra restringersi perché non regge più il confronto. Sentivo che avresti potuto e che lo diventasti da quella stessa sera, quando dopo avermi chiesto il numero mi dicesti solo: "Avvisami quando sei a casa". Nulla di più e lo feci, non vedevo l'ora di scriverti e sentirti e quando ti dissi che ero sana e salva, mi dicesti un semplice grazie ed io capii. Capii che ero fregata e che era qualcosa di raro ciò che sentivamo entrambi. Capii che saresti diventato quel qualcosa di speciale e raro e che saresti potuto andare via come tutti gli altri, portandoti gli ultimi pezzi del mio cuore con te.

Lo sentii subito e lo accettai.
Tornassi indietro, lo rifarei.

Ho bisogno di dire il tuo nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora