4 - Felici nel dolore

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Ormai ci muovevamo in una perfetta sincronia, eravamo le braccia di uno stesso corpo nelle nostre danze dentro e fuori casa tua. Io prendevo la macchinetta del caffè e tu aprivi il rubinetto per metterci l'acqua, io mi mettevo le scarpe e tu mi attendevi col profumo in mano prima di uscire. Un'inaspettata armonia che ci colse di sorpresa e ci invase corpo e anima, travolgente come un'onda, dall'acqua calda il giusto per non farti sentire quanto forte può colpire, quanto a fondo può buttarti.

Seppur dilaniati, spezzati e soli, nel dolore eravamo felici.

Avevamo creato una bolla in cui gli altri raramente erano invitati ad entrare, e dentro eravamo solo noi con le nostre guerre e i nostri stalli, con i tempi spezzati e le note stonate e nessuno poteva giudicarci, nessuno poteva mettere bocca su qualcosa che era divenuto così sacro per noi. Per me.

Sentivo la sacralità dei nostri momenti insieme quando nel silenzio ci dicevamo tutto, quando il bisogno di riempire i vuoti tra le persone non era un peso, una necessità, bensì un piacere proibito. Nel silenzio ci siamo detti cose che non ho raccontato ad anima viva e che credo mai farò.

Ci ho messo tempo a dimenticare le parole non dette tra noi. Per mesi mi sono chiesta se le sentissi tutte le mie, se non ti fosse sfuggito nulla come credevo oppure se eri stato troppo distratto da te, per capire me.

Sì perché questa storia non è nata per raccontare solo il bello di una storia mai iniziata e mai finita, di cui sei certo tu l'esperto tra noi, ma nasce per raccontare la verità, tutta quella che ho sentito, che avrei voluto condividere con te, perché saresti stato solo tu in grado di capire, e che non ho potuto dirti perché sei andato via.
Quindi non nasconderò tutte le volte che mi sono sentita messa da parte nei nostri discorsi, tutte le volte che dicevo due parole e subito tu, riportavi l'attenzione su di te.
Un leone in carne ed ossa, che amava troppo la propria criniera, per non specchiarsi anche negli occhi degli altri, cercando solo il proprio riflesso.

È vero, sentivi le mie lacrime meglio di tutti, ma sulle parole, un po' a volte ti sei perso.
Eppure io ti capii, ti giustificai. "Lui sta soffrendo troppo, forse anche più di me". Che poi a me era crollato il mondo addosso e non avevo più idea di chi io fossi senza il mio Tutto, che mi aveva lasciata in un mondo che mai avevo affrontato da sola, mai senza di lui da quando l'avevo conosciuto. Però anche tu avevi perso il tuo Di Tutto Un Po', quello che credevi amore e scopristi dipendenza psicologica, fisica, quel bisogno intrinseco che quella persona ti stesse accanto, che lo volesse o no, sarebbe stato necessario solo che in qualche forma ci fosse.

Non accettasti facilmente la tua chiusura e forse per questo mi dissi spesso che stavi peggio di me, sentivo che capivo che eri nella disperazione più totale, nella rabbia e la frustrazione continue, mentre io semplicemente no.

Ero rotta, sì, spezzata, distrutta, impaurita, malinconica e qualsiasi altro aggettivo possa raccontare di qualcuno che ha perso tutto, Tutto, e da subito l'ha accettato. Anche con ogni atomo del mio corpo che mi implorava di non rinunciare, non riuscivo a darmi retta, sentivo solo che quella persona mi aveva lasciata nonostante tutto ed io, lo accettai. Non lottai più, dopo anni raggiunsi quello stato, non pregai più per nulla, anche se tutto di me avrebbe vissuto di Tutto "almeno un altro po'".

Lo accettai e ne andai fiera ogni giorno, ne vado fiera ancora oggi.

Sapevo che avevo solo bisogno di tempo, e piano piano tutto sarebbe scemato. Così fu in effetti e tu mi diedi tutto il tempo che necessitavo. Con te volarono i mesi di follie, tra alcool, tacchi, autobus in fiamme e passeggiate ad ogni ora del giorno e della notte. Facevamo colazione insieme, ma passavamo tutta la notte fuori a camminare per Roma. Sembrava quasi appartenerci all'epoca, una città così grande e dispersiva, sembrava racchiusa tutta nel palmo delle nostre mani, nel bagliore che riflettevano i tuoi occhi grandi delle luci della notte.

Con te andai a ballare la mia prima volta e ricordo ancora quanto eri bello sotto le luci ad intermittenza che sottolineavano ogni centimetro del tuo corpo da danzatore.
No, tranquillo, nonostante tutto non ti chiamerei mai ballerino.

Ti guardavo e ti guardavo e sentivo quanto ero fortunata ad averti incontrato, a poter vivere quei momenti con te, a condividere una quotidianità totalmente nuova per me, completamente stravolta dalla mancanza di Tutto, ma dal tuo arrivo. Casa.

Mi hai sempre portato afare cose che io stessa credevo impossibili, che non avrei mai fatto con nessunaltro e alcune le conservo ancora come solo nostre. Con te cantavo sempre asquarciagola in macchina canzoni che noi sentivamo fin dentro l'anima, io nonero solita cantare con nessuno, per imbarazzo forse.
Con te, ovviamente, non c'era ed era magnifico, totalmente liberatorio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 02 ⏰

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