incomprensioni e telefonate

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Ha le dita che tremano e un angolo del labbro intrappolato tra i denti in un vano e probabilmente stupido tentativo di calmare quell'ansia che ormai da ore, un giorno intero, gli attanaglia cuore e mente. Non pensava che non sentire Simone e sapere del suo rifiuto così vivido potesse ridurlo in quello stato già dai primi minuti, eppure ha appena concluso il colloquio di lavoro per Vogue e pensava (sperava!) davvero che quel macigno l'abbandonasse dopo quella prova di coraggio, ma ancora non se n'è andato— cresce sempre di più, man mano che i minuti e le ore passano, e sente quasi il bisogno di vomitare o forse di urlare e ancora di piangere.

Sono le undici di sera — rispettivamente le cinque di pomeriggio da Simone, ha controllato — e Luna gli ha prestato il cellulare di Laura ora che sono tutti e tre insieme e le due ragazze l'han lasciato da solo in camera da letto, ché «stai sicuro che all'amica sua risponne» gli ha detto Luna «e così ve potete chiarì». E Manuel non è sicuro che Simone risponderà, per mille motivi diversi che vanno dal lavoro fino all'intuito a dirgli che a quell'ora della sera una chiamata da parte della bionda sarebbe impossibile, non è sicuro nemmeno che sentendo la sua voce non gli chiuderà la chiamata in faccia... ma ha bisogno di sentirlo, ha un bisogno folle di sentire la sua voce, anche a costo di farsi respingere.

Quindi preme il tasto di chiamata e s'avvicina il telefono all'orecchio, prendendo un respiro maggiore degli altri e aspettando. Manuel odia aspettare, è una delle sue competenze peggiori, quando da piccolo doveva rimaner paziente in attesa del Natale per aprire i regali finiva puntualmente per rimaner sveglio per tutta la notte agitandosi nel letto e sbuffando mentre fissava l'orologio digitale accanto al suo letto come a costringerlo a correre in avanti per arrivare subito al mattino; poi si fiondava sul letto della madre e la tirava con sé vicino all'albero dove — ancora prima della colazione — si metteva a scartare quei pochi e miseri pacchi che però facevano scoppiare di gioia il suo cuore.
E ora si sente proprio così, mentre gli squilli del cellulare sembrano prendersi gioco di lui andando sempre più piano e ridendo divertiti nel fargli notare che Simone non si farà sentire.

«RispondiRispondiRispondi», lo mormora a bassa voce mentre si tortura la bocca e tiene gli occhi chiusi, serrati. «TipregoTipregoTipre—»
«Laura, da te è tardi, che succede?» E finalmente la voce del francese appare, interrompendo di getto quei suoi sussurri a bloccarsi in gola. Ha le labbra schiuse, adesso, e respira quella perdita d'audacia improvvisa che punisce il suo lato più sfrontato e smanioso di parlargli. Deglutisce e sente la mente fermarsi, non sa più se stiano passando secondi o forse minuti, sa solo che la voce di Simone è roca e delicata — pur se nella convinzione di rivolgersi alla migliore amica — e lui sente la mancanza assalirlo senza preavviso. Sospira piano dalla bocca e si dimentica, in tutto ciò, di non aver ancora parlato. «Laura, mi senti? Vuoi che ti richiami io? Va tutto bene? Stai b—?»
«Simo.» Esce così flebile che si sente idiota e vorrebbe tornare indietro, riprovare, ma ormai è troppo tardi. E Simone non parla più. L'ha riconosciuto. «Sono Manuel...» Sa che non è necessario specificarlo, ma sente di doverlo fare come una sorta di scusa per quella chiamata.
«Manuel.» Suona come un rimprovero. Ora il tono è duro. «Che ci fai col telefono di Laura?»
«Pecché nun risponni alle mie chiamate?»
«Ti ho fatto una domanda.»

Si odia, ché anche solo sentire la sua voce suona rassicurante e gli fa battere il cuore, ma ha il terrore di dire la cosa sbagliata e perdere anche quell'occasione. Quindi, nonostante non sia solito assecondare il volere altrui, decide di non discutere almeno per quella volta e d'abbassarsi alla rabbia dimostrata dal ragazzo— vorrebbe solo sapere se gli è mancato, almeno un po', ma teme una risposta negativa quindi evita di chiederglielo.

«Me l'ha prestato, — mormora quindi — visto che nun rispondevi se te chiamavo io.»
«E non avete pensato che potessi avere i miei motivi?» È irritato. «Non volevo sentir—»
«Lo so.» Fa già male così, gliel'ha sentito dire una volta e non ha bisogno che lo ripeta. «Ma c'avevo davvero bisogno de parlà co te.»
Simone sospira dall'altro lato del telefono e Manuel sta per arrendersi all'idea che la chiamata si concluderà, ma: «Dimmi», gli sente pronunciare. «Ti ascolto.»

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