Capitolo 3: Sfide e alleanze

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Dopo una colazione fin troppo vivace e piena di chiacchiere, dove il pappagallo Jackie mi ha disgraziatamente rubato il toast all'avocado, salgo le scale verso la mia stanza. Non era un luogo ampio, ma ogni centimetro quadrato era impregnato di ricordi e significati. Era la camera di mia madre, le pareti sono adornate di fotografie che raccontano storie silenziose: Mamma Rosie che sorrideva sotto il sole, Mamma Rosie che teneva in braccio una piccola me. Non ci somigliamo molto esteticamente, ma il carattere forte e deciso è un filo invisibile che ci ha unito e ci unirà per sempre, questo almeno diceva papà. La stanza è un omaggio al mare, con tonalità di blu che si susseguivano come onde su tessuti e pareti.

Mentre frugo nell'armadio alla ricerca di qualcosa da indossare, la porta si apre con un cigolio familiare. Fatima, ancora malmessa e confinata non più in una carrozzina ma in due stampelle, mi chiede di entrare. "Posso?" disse con un filo di voce.

"Naturalmente," risposi Agata, aiutandola a sedersi sul letto una volta entrata.

Noto il suo sguardo: Fatima mi guarda  con occhi imploranti. "Non potrò surfare per tre mesi, Agata. E ci sono gare in arrivo... gare importanti per la mia carriera." La sua voce trema leggermente, tradendo la paura di vedere i suoi sogni svanire come schiuma sul bagnasciuga.

Mi siedo  accanto a lei, ascoltando in silenzio. "Voglio che tu surfi per me," continua Fatima. "Devi rappresentare la nostra famiglia, mostrare la nostra bravura."

La richiesta  mi colse di sorpresa. "Io? Ma non sono abbastanza brava, mi sono salvata solo grazie a quel Efrem...e poi..."

Fatima mi interruppe. "Proprio per questo. Lui può allenarti, portarti ai suoi livelli. È l'unica soluzione."

Fatima si alza d'improvviso ed  esce e pensierosa sul da farsi. 

Non voglio, ma forse devo.

Decido di vestirmi tutta di nero proprio come la giornata prospetta di essere. 

Esco di casa, immergendomi nel calore del sole hawaiano. La luce dorata del mattino accarezza la mia pelle, mentre il fruscio delle onde mi parla di un mondo sott'acqua che ho sempre amato. Il mare è un mosaico di blu e turchese, e ogni onda che si infrange sulla riva sembra chiamarmi. Il mare non mi spaventa più come prima, passi avanti.

Il sale nell'aria si mescola con il profumo dolce dei fiori tropicali, creando un aroma che può  solo appartenere a quel luogo magico. I gabbiani volteggiano sopra di me, i loro richiami si fondono con il suono ritmico dell'acqua, e il gusto salato sulle labbra mi ricorda di quanto sono vicina alla vastità dell'oceano, il pacifico.

Mentre cammino, i miei pensieri si spostano sulla biologia marina, la mia più grande passione. Ogni creatura, dalla più piccola alga al più grande cetaceo, era un enigma che desiderava decifrare. Quando da piccina andavo alla baia vicino alle cascate, qui ad Holulu con la mamma, è stato impressionante da scoprire che i realatà i polpi e i polipi non sono lo stesso animale. Sono come il cavallo e il cavalluccio marino, hanno nomi simili ma nature differenti. Da lì è ata questa curiosità innata per gli animali, soprattutto quelli marini. E poi c'erano le stelle marine, il simbolo dell'amore condiviso con mia madre. A casa, a Beaufort, la sua stanza era un santuario dedicato a questi esseri marini, con quadri e modellini che ricordavano la bellezza semplice ma affascinante delle stelle del mare.

Ho immaginato questa vacanza come un'opportunità per approfondire i miei studi sulla biologia marina, magari quella hawaiana, ma il destino ha altri piani. L' università a Beaufort è piccola e limitata, e spesso sogno di più, di un luogo dove poter esplorare senza confini la mia passione. Ma ora, con la richiesta di Fatima, sento il peso di una responsabilità nuova e inaspettata.

La spiaggia è un luogo di riflessione, e mentre mi lascio che mi si bagnino i piedi nell'acqua fresca, so che dovrei prendere una decisione. Posso sentire l'eco di mia madre nelle onde, un incoraggiamento silenzioso a seguire il mio cuore, sia che mi porti verso le profondità del mare o verso l'apice di un'onda.

Con il cuore colmo di dubbi ma anche di speranza, sapevo che la giornata mi avrebbe portata a confrontarmi con Efrem, con le mie paure e, forse, con il mio futuro. E mentre il sole sale sempre più alto nel cielo, illuminando il cammino davanti a me, decido che avrei fatto tutto il possibile per onorare la richiesta di Fatima, per la famiglia e per me stessa.




Il brusio delle voci attir la mia attenzione, distogliendomi dai pensieri. A sinistra, il gruppo di surfisti popolari domina la scena: Karina, Tati e Riki, insieme a Efrem e ai suoi amici. L'uno è alto e muscoloso, la sua pelle scura luccica al sole; un altro ha tratti asiatici che ricordano John; il terzo, con capelli rossi e lentiggini, ride ad alta voce.

Mi girai verso di loro, e i miei occhi incontrano quelli di Efrem. E' uno sguardo che sembra durare un'eternità, carico di domande non dette, finché Karina non lo richiama con una risata. Quel contatto visivo ha detto tutto e niente allo stesso tempo.

Mi avvicino  ad Efrem, con passo deciso nonostante il cuore mi  martella nel petto. "Efrem, dobbiamo parlare," dico diretta, cercando di catturare il suo sguardo. Efrem, circondato dai suoi amici, alzò un sopracciglio con disinteresse. "Davvero? E perché dovrei perdere tempo con te? Si e no so come ti chiami". "Smemorato...piacere Agata. Ti cerco perché, a meno che tu non abbia già dimenticato, hai una certa abilità nel salvare le persone... in acqua e fuori," rispondo. Con un sorriso vile che non raggiungeva gli occhi. Efrem rise, ma il suono era vuoto. "Oh, la novellina ha bisogno del mio aiuto? Che ironia.". 

"Non quanto la tua fidanzata ha bisogno di un corso su come tenere in mano un bicchiere," replico schietta, il riferimento a Karina era chiaro e tagliente. Efrem si irrigidisce, il divertimento era svanito dal suo viso. "Stai attenta, Agata. Non vorrei che tu annegassi... nelle tue stesse parole." "Preferirei annegare nell'onestà che galleggiare nell'ipocrisia," sibilo, incrociando le braccia. Efrem scuote la testa, ma un sorriso riluttante gli sfiora le labbra. "Va bene, parliamo. Ma non qui."

Ci incamminiamo verso un capannone vicino, un luogo sacro per ogni surfista. L'interno era un tempio di tavole da surf, con pareti adornate di trofei e foto di onde gigantesche. La luce del sole filtrava attraverso le fessure, illuminando le particelle di polvere nell'aria.

Entrati nel capannone, l'atmosfera cambia. "Fatima è fuori gioco per mesi," inizio , "e vuole che io la sostituisca nelle gare. Ho bisogno del tuo aiuto."

Efrem mi scruta da capo a piedi, cercando indizi di sincerità. "Credi di poter prendere una tavola e gareggiare come lei, così, su due piedi?"

"Con l'allenatore giusto? Assolutamente sì," lo sfido con lo sguardo. "Allora, sei dei nostri o no?"

Efrem emette un sospiro profondo, poi annuisce lentamente. "Sono dentro. Ma solo perché devo dimostrare a mio padre che sto cambiando strada, dopo... "indugia "non ti riguarda" ringhia avvicinandosi all'uscita con fare sbrigativo. 

In uno scatto veloce  lo prendo per il braccio "aspetta, non ho finito" getto fuori d'improvviso. 

Efrem mi fissa interrogativo, i nostr sguardi si incrociano in un silenzio carico di tensione. "Ho fatto un sogno," inizio , "Ho ricordato quella volta in mezzo all'oceano, tu e tuo padre..."

Prima che possa finire, Efrem mi interrompe con un gesto brusco. "Sei pazza, Agata. Non mi ricordo di te, a malapena so chi sei. Il sole ti ha dato alla testa."mi lascia senza spiegare e fugge all'esterno.

Nonostante le parole dure, nei suoi occhi c'era un barlume di riconoscimento. Lo so. Lo credo. Lo spero.

 Usciti dal capannone, ci avviamo in direzioni opposte, quando Efrem si ferma e mi dice: "Tra due ore, sul punto di ieri vicino al chiosco. Non fare tardi."

Quello Che Rimane Di TeWhere stories live. Discover now