Prologo

912 51 7
                                    

Quando Alberto Angelucci, avvocato e uno tra i suoi più fidati collaboratori, l’aveva costretto a prendere un aereo per Roma, Simone Balestra, ventisettenne giovane rampollo noto nel mondo degli affari, non aveva neanche lontanamente pensato che l’obiettivo fosse trascinarlo ad uno dei suoi soliti party, pieni di gente snob che lui mal sopportava.

Ché Simone si muoveva con destrezza nel campo degli affari ma non era particolarmente avvezzo a quel mondo.

Quando aveva scelto il suo percorso di studi, non aveva immaginato che, a quell’età, sarebbe finito a ricomprare, smembrare e rivendere aziende sull’orlo del fallimento, lucrando sulle spalle di imprenditori che avevano gettato sangue e sudore per costruire il proprio impero.

Per qualcuno era l’azienda di famiglia.
Per altri era l’azienda nella quale avevano investito tutti i loro risparmi.

E quando, negli occhi di quella gente, Simone riusciva a leggere il dolore e la tristezza per aver perso ciò che, con fatica, avevano creato, l’odio per la sua professione cresceva forte dentro sé.

In quel momento, però, non ebbe molto tempo per pensarci, ché un’altra delle – tante, in verità – cose che odiava stava facendo squillare il suo telefono.

Domenico Bruni, il suo ex.

Non che lo odiasse come persona, anzi, nel poco tempo in cui erano stati insieme, Simone era stato molto bene e chiunque avrebbe scommesso sul fatto che come coppia sarebbe durata per molto tempo.

Odiava la sua insistenza.
Odiava il suo continuo cercare di contattarlo per chiedergli una seconda – o, forse terza o anche quarta – possibilità dopo l’ennesimo tradimento.
Odiava che lo stesse facendo in quel momento, proprio quando era costretto in quel luogo, concentrato a fingere sorrisi amichevoli e a presentarsi a persone delle quali avrebbe dimenticato il nome un istante dopo averlo udito.

«Che c’è?» rispose, senza neanche dire pronto e alzando gli occhi al cielo.
«Ho liberato l’appartamento – disse, rassegnato – se vogliamo vederci…magari ti restituisco le chiavi»
«Lasciale pure al portiere, non sono a Milano»
«Pensavo che…– provò ad insistere – almeno potessimo provare a chiarire, a-»
«Domenico, lascia le chiavi al portiere. Buona serata» e riagganciò.

Se Simone, in quel momento, si fosse fermato a pensare a cosa lo innervosisse di più tra la festa alla quale era stato – letteralmente – trascinato, la chiamata ricevuta da Domenico o la sua proverbiale insistenza, non avrebbe saputo dare una risposta.

Era conscio soltanto del fatto che fosse stufo di stare lì e che avrebbe dovuto abbandonare quella villa il prima possibile.

Prima che la testa – già in procinto di farlo – gli esplodesse.
Prima che la testa gli suggerisse di stordirsi con l’alcool.

In fretta, quindi, recuperò il suo soprabito e si diresse verso l’uscita, seguito dal fidato amico Alberto.

«Simone! Simone, aspetta! – lo afferrò per un braccio, costringendolo a voltarsi – Dove stai andando?»
«In hotel»
«Ma…Simone, la festa? C’è anche Palmieri con suo figlio, i rappresentanti dell’azienda che devi acquistare, ricordi?»
«Con Palmieri ne parleremo un’altra volta. Ora sono stanco, ho mal di testa e voglio andare a riposare. È vietato?» rispose, visibilmente alterato.
«Va’ pure! Ma quando qualcuno più astuto e scaltro di te acquisterà le quote della società, non venirmi a dire che non te lo avevo detto!»

Fingendo di aver davvero ascoltato ciò che Alberto gli aveva appena detto, Simone annuì facendo un cenno con la testa, prima di chiedere, al custode del parcheggio, di riconsegnargli le chiavi dell’automobile che aveva noleggiato e andare via.

It must have been loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora