7.

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«Luna, dov’è Balestra?»
«Il Signor Balestra oggi non verrà, ha appena avvertito»

Alberto, all’udire di quella risposta, rimase pietrificato.

Tutta colpa di quel bastardo, pensò, trattenendosi dall’esplicitare quel pensiero.

Avrebbe voluto devastare l’ufficio al sol pensiero che mentre lui si trovava in sede, in preda all’ansia per le sorti dell’affare con Palmieri, Simone era chissà dove a godersi la vita.

Lo chiamò più e più volte sul suo cellulare, fino a prendere la decisione di contattare l’hotel e cercare di rintracciarlo in quel modo.

«Il Signor Balestra non è qui, mi dispiace. Può lasciare un messaggio e glielo recapiteremo al suo ritorno»

Questa era stata la risposta della receptionist dell’hotel.

Sbatté la porta del suo studio e si buttò a peso morto sulla poltrona, allora.

Vaffanculo, quasi urlò, prima di mettersi a lavorare.

***


«Simò, eddaje, ma che è ‘sta cravatta?»
«Non ti piace? Devo cambiare cravatta?»
«No, te la devi proprio leva’. Ce la fai, pe’ oggi, a vestitte come uno dell’età tua?»
«Mh…ci posso provare! Ma ancora non ho capito dove mi porti»
«Com’era? Ah, sì: è una sorpresa. Rassegnati, lo saprai soltanto all’arrivo» disse Manuel, imitando Simone e utilizzando la stessa frase che quest’ultimo aveva usato la sera prima.
«Idiota» rispose Simone, lanciandogli – per scherzo, s’intende – la cravatta addosso.

Ché quella mattina, dopo aver dormito di nuovo insieme, era stato Manuel a svegliare Simone e a proporgli qualcosa di alternativo da fare.

Penso a tutto io, gli aveva detto, che io conosco Roma e te sei ‘r turista.

E Simone, felice di trascorrere del tempo insieme a Manuel, – e soprattutto, di farlo nelle vesti di semplice ragazzo e non di ricco imprenditore – aveva subito accettato.

«Va bene così?» chiese, qualche minuto dopo, uscendo dalla stanza con indosso soltanto un paio di jeans e una camicia azzurra.
«Uhm…seh. Cioè, me sembri n’autista dell’ATAC co’ ‘sta camicia, ma lasciamo sta’ che sennò uscimo dopodomani. Ah…– aggiunse – manca ‘na cosa»
«Cosa?»
«’E chiavi della macchina»
«La macchina?» rispose Simone, perplesso.
«Eh, ‘a macchina. Que ‘r gioiellino co’ cui m’hai raccattato e che, palesemente, ‘n sai guida’»
«Vuoi guidare tu?»
«No, ‘e regalo a ‘r primo barbone che incontramo, così ‘o famo felice»

Scosse la testa, divertito, Simone, prima di consegnargli le chiavi dell'automobile.

Era certo che non si sarebbe mai abituato al senso dell’umorismo con il quale Manuel era solito rispondere alle sue stupide – ne era consapevole – domande.

Abbandonarono l’hotel, quindi e, come ormai, accadeva sempre più spesso, gli occhi di tutti i dipendenti erano concentrati su di loro.

Erano belli.

Affiatati.
Complici.

Un vero spettacolo per gli occhi.

E sorridevano entrambi, felici, come, probabilmente, non lo erano mai davvero stati, seppur consci del fatto che quella non fosse altro che una felicità destinata a giungere presto a termine.

***


Salire a bordo di quell’auto fu, per entrambi, un colpo al cuore.

Mentre Simone non faceva che pensare al momento in cui aveva fatto salire Manuel a bordo di quella macchina quella – fortunata, oserebbe dire – sera, Manuel non riusciva a sollevare la mente dal pensiero che, presto, tutto ciò sarebbe stato solo un ricordo.

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