6.

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Silenzio.

Silenzio e un respiro tremante.

Silenzio.

Silenzio e un respiro profondo.

Il tempo, in quella stanza d’albergo, al rientro dalla giornata all’ippodromo, era scandito da silenzi e respiri.

Ché Simone, all’interno del taxi, le lacrime di Manuel le aveva viste.

Le aveva viste, ma aveva scelto di non agire.

Non in pubblico almeno.

Ci provò, quindi, non appena rientrarono nella suite.

«Manuel?» disse Simone, spezzando il silenzio.
«No, Simò, ‘n c’ho voglia. ‘N c’ho voglia de parla’ e manco de statte a senti’»
«Per favore»
«Per favore ‘n cazzo, Simò – si ritrovò a gridare – Perché cazzo m’hai fatto vesti’ a festa se l’intenzione tua era presentamme come ‘n gigolò?»
«Io non-»
«Non che? Voi nega’ d’ave’ detto ad Alberto quello che faccio?»
«Senti, mi dispiace, non volevo. È che…pensava che fossi una spia industriale, ha iniziato a riempirmi di domande e…e mi sono trovato spiazzato. Ma credimi che non sono affatto contento di quello che può aver detto o fatto Alberto»
«Io ‘n so’ ‘r giocattolo tuo, Simò, mettetelo in testa» rispose, dandogli le spalle.
«Non l’ho mai pensato, Manuel. Cazzo, ascoltami! – disse, alzando la voce e afferrando Manuel per un braccio, con il fine di voltarlo verso di sé – Mi dispiace puntualizzare l’ovvio, ma un gigolò è quel che sei, Manuel e, per altro, sei alle mie dipendenze. Quindi è inutile che fai l’offeso»

Quell’ultima frase fu in grado di ferire Manuel ancor di più.

Non gli aveva mai fatto paura ciò che era, ma sentirlo dire in quel modo dalla persona che aveva capito di amare faceva un male inspiegabile.

«Io ‘n so’ roba tua, Simò. Decido io quanno, come e co’ chi. ‘N sei te che me passi agli amici tuoi come se fossi ‘n Super Tele»
«Io non ho intenzione di trascorrere il resto dei giorni insieme a litigare. È chiaro? Ti ho detto che mi dispiace, adesso smettila!»
«Vaffanculo, Simò. Maledetto ‘r giorno che t’ho incontrato»
«Come se le alternative che avevi fossero migliori»
«Sai ‘na cosa? – disse Manuel, con le lacrime pronte ad uscire – Nessuno m’ha mai fatto senti’ così in basso come m’hai fatto senti’ te oggi»
«Mi rimane difficile crederci, scusami»

Non gli diede neanche più ascolto, Manuel, intento a rimettersi i suoi vestiti.

«Che cosa stai facendo? Dove vai?»
«Me ne vado. E tiette i soldi. E pure i vestiti. Io da te, da quelli come te, che pensano de pote’ compra’ pure le persone e i sentimenti co’ i soldi, ‘n voglio niente»

Soltanto quando la porta della stanza sbatté, provocando un rumore sordo, Simone sembrò ridestarsi.

Che cazzo ho fatto?, fu il suo primo pensiero.

Anziché scusarsi sinceramente per aver rivelato ad Alberto quella sorta di segreto tutto loro, aveva rincarato la dose.

Aveva detto cose che non pensava, preso dalla rabbia.

Uscì anche lui dalla stanza, allora.

Si prese un istante per osservare – da lontano – Manuel che, davanti all’ascensore, dava ormai sfogo al suo pianto.

Si avvicinò piano, Simone, sicuro che qualsiasi cosa avesse detto o fatto, Manuel lo avrebbe respinto.

Ma osò lo stesso.

Ché tanto, peggio di così non può andare.

Non gli diede il tempo di parlare, Simone.

Semplicemente, se lo tirò addosso e lo avvolse in un abbraccio.

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