i lividi della libertà

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-Brutto moccioso, come ti sei permesso ad uscire! -

-Dopo tutto quello che facciamo per te (per voi) osi prenderci in giro così? -

Rise, rideva e singhiozzava allo stesso momento, la faccia era rossa, sembrava Satana, direttamente dagli inferi, sembrava allo stesso tempo anche un'anziana a cui stava per venire un infarto. Batté un pugno sul tavolo mentre guardava la sua mano alzarsi e andare a sbattere contro di esso. Rimase così qualche istante fino che lentamente non alzò lo sguardo verso Daniel fino a fermarsi agli occhi, era una sfida. La mano scattò di nuovo a puntare la scalinata.

-Fila su e sta sera niente cena, e prega che non ti chiudiamo fuori al gelo- era certo che se continuasse così qualche vena gli sarebbe esplosa.

A testa alta, pieno di rabbia e ego andò in camera sua. Era certo senza nemmeno guardarla che quell'atteggiamento la stesse facendo ribollire di più.

La pancia borbottava alla ricerca di cibo, Daniel però non sentiva fame, ignorava quel pensiero, ne aveva troppi in testa. Come avrebbe fatto se non poteva uscire, chi avrebbe informato Oliver che non sarebbe andato, e se gliela avesse fatta pagare? che poi ancora poteva solo ipotizzare ciò che avrebbe dovuto fare. Voleva dormire ma il suo cervello lo teneva guardingo, sapeva che in quel momento non gli sarebbe successo nulla, al massimo il mattino seguente, ma ad ogni minimo rumore i suoi occhi come per magia si aprivano e tutti i suoi sensi erano in allerta.

La mattina seguente si svegliò di colpo, gli occhi non si scollavano, la luce che si infiltrava dalla finestra gli dava fastidio, era certo di averla chiusa. Aveva freddo, gli sembrava di avere una stanza bucata, il gelo veniva da ogni spiraglio e lo congelava nel letto. Tirò su le coperte.

Sentiva dei colpi, andavano a ritmo, il rimbombo del ferro.

Gli venne un brutto presentimento, si mise di colpo seduto. Gli stavano sbarrando le finestre.

-Così non hai modo di scappare-

Non che ci avesse già pensato, ma ora ragionava che era l'unico modo di fuga, poteva uscire solo per andare in bagno, il cibo lo portavano in camera e la signora passava ogni ora per controllare se fosse in stanza.

Aveva bisogno di liberarsi la mente. Di ragionare in modo lucido.

Gli avevano sempre detto che riordinare fosse utile per ripristinare i propri pensieri e ciò l'aveva confermato una rivista per giovani genitori che aveva trovato nella pila delle tante abbandonate dagli ospiti., e così fece. Partì rifacendo il letto e sistemando con cura il suo coniglietto peluche Mirto adagiandolo sdraiato con la testa sul cuscino, cosa che ogni mattina faceva, poi al comodino, tolse la polvere dalla pesante lampada in vetro, sistemò il quadretto, il più più importante che aveva, l'unico collegamento ai suoi genitori, sopra c'era scritto il suo nome e cognome, il giorno di nascita e il nome di Mirto.

Per ultima la scrivania, non che ci fosse molto: un porta penne con una stilografica nera, una gomma e una matita, qualche fumetto e lo zaino che aveva lanciato lì la sera scorsa.

Lo zainetto era rigonfio ma non particolarmente pesante, lo ributtò sul letto, non si ricordava cosa ci fosse dentro, non voleva aprirlo, e rievocare la giornata passa, certo, era finito in castigo, ma era riuscito a vedere il mondo fuori, a sentire l'adrenalina dentro, a sentirsi vivo. Era legato alla sua libertà nonostante avesse solo pochi anni, la voleva, la desiderava, l'avrebbe avuta.

La serratura scattò e in stanza entrò Mrs. Butcherson, aveva in mano una cintura nera in pelle e dall'altra un foglio con una penna. Lo invitò a seguirla o meglio gli impose di seguirla, Daniel aveva intuito dove stava andando: "La sala dei bambini cattivi".

Solamente due giorni fa sarebbe stato spaventato al punto che le gambe nemmeno si sarebbero mosse, ma ora, ora no, ora si sentiva apatico, guardava i bambini, alcuni disposti in fila a guardarlo, altri da dietro alla parte nella speranza di non farsi vedere, si sentiva come al centro di una processione, abbassò la testa.

-Seduto!-

Daniel si sedette su una vecchia sedia, il cuscino era lurido, a mala pena si distinguevano gli antichi ricami a fiori, non era nemmeno più imbottito.

Davanti a lui un misero tavolino in legno su cui gli appoggiarono il foglio e la penna di prima.

-Ora scrivi: "Non devo più permettermi di scappare da qui, sono grato per tutto quello che mi danno. Non merito nulla in più."

Dall'incontrario scrisse in modo un po' storto e raggrinzito come lei: 50

Daniel fece una pausa e poi preso da un attacco d'ira prese la penna e la scaraventò dall'altra parte della stanza, non avrebbe scritto una parola, non si sarebbe scusato con chi gli stava rovinando la vita.

Ancora prima di ragionare su ciò che avesse fatto senti un colpo che quasi lacerò la carne, il dolore si diffondeva nella schiena, voleva piangere ma doveva mostrarsi più forte di lei. Sospirò mentre singhiozzava nella speranza di infondersi calma e risucchiare tutte le lacrime.

Alzò lo sguardo, l'aria di sfida poi un grugnito e boom, un altro colpo, seguito da un secondo. Gli girava la testa dal dolore. A malincuore si arrese, era troppo piccolo per sopportare tutto ciò per una semplice scritta, lo rincuorò il pensiero che al fin del suo bene eseguire l'ordine non avrebbe influito sull'importanza dei suoi pensieri, e non sarebbe parso un perdente perchè nessuno (a parte la Butcherson) era nella stanza.

Quarantotto, quarantanove, cinquanta...fine.

Senza aspettare nemmeno un accenno si alzò, si trascinò dolorante alla porta e la aprì per poi uscire. Si aspettava di venir ritirato dentro in quell'oblio ed invece no, lei rimase seduta sulla poltroncina affianco alla vecchia sedia a guardarlo andarsene, la sua faccia a differenza di prima era rilassata, come se si fosse svegliata da un sogno profondo, era compiaciuta.

I bambini erano ancora lì, fissi nella posizione di prima, come se il tempo fuori si fosse fermato, gliene si avvicinò uno, il più piccolo, Marcus.

Marcus era arrivato lì da poco, due mesetti circa, era un bambino abbastanza problematico, combinava guai, non rispettava le regole ed era sempre nel suo, non abbiamo mai sentito la sua voce, gli altri pensavano che fosse così perché si doveva ancora ambientare, capire il funzionamento del luogo e raddrizzarsi, Daniel invece no, riconosceva in lui un desiderio di rivolta, nel suo non seguire le regole e nel suo rimanere muto cercava di ribellarsi, glielo leggeva negli occhi. Era come lui.

Gli strinse con il pugnetto un pezzo del pigiama, glielo tirò, come per dirgli che era lì, che lo capiva e poi lo strinse in un abbraccio, forse, il più bello che Daniel mai ricevette.

Quella sera non cenò, voleva solo rifugiarsi nei suoi pensieri. Faticò anche a sedersi sul letto, si sentiva, e lo era, pieno di lividi, sentiva la pelle gonfia ma non voleva guadarla, sul pantalone ha una macchiolina di sangue data da un taglietto fatto dalla parte in ferro della cinghia.

Prese lo zaino che aveva buttato sul letto, era molto bello, in finta pelle marrone, gliel'avevano donato anni fa, la prima volta in cui per poco non lo adottavano, ancora non sa perchè la procedura si è bloccata, gli hanno riferito solo che i suoi quasi genitori avevano avuto un problema temporaneo, inutile dire che non tornarono mai.

Sfilò il laccetto e lo aprì, sopra c'era il suo portafoglio vuoto, il sacchetto in carta raggomitolato a pallina che conteneva il cioccolatino, una mantella e una piccola scatolina in legno.

Ora ricordava. Provò a forzare l'apertura ma niente. Non cambiava nulla, si udiva solo un leggero scricchiolio dato dal legno. Lo ripose sul comodino.

Quella sera si sentiva apatico, il suo corpo non gli dava nessuno stimolo ( a parte il dolore), sentiva i bambini giocare, ma lui non aveva nessuna voglia di unirsi. Guardò l'orologio: 20:30. Tra poco ci sarebbe stato il coprifuoco e a Groundergrouge'House sarebbe calato il silenzio. 

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