1 - Nuovi inizi, che sembrano preludi alla fine.

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"Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio.
Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra.
Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere un piede."

Lao Tse

Etienne

Alberi, siepi, una casa, ancora un albero. Un salice piangente in fondo alla strada. Il cartello stradale lungo la D7, con la scritta "MIRACLE".

L'aria tiepida di fine settembre, carica di umidità, sferzava la mia mano mentre la tenevo fuori dal finestrino; almeno fino a quando non incominciò a piovere e mi dovetti obbligare a ritirarla all'interno dell'abitacolo.

«Cinque minuti e ci siamo».

Mio padre guidava con lo sguardo fisso davanti a sé, lungo tutto il viaggio da Lione non si era mai voltato verso di me e non l'aveva fatto neanche adesso.

Non risposi.

Giunti a destinazione raccolsi il mio borsone dal bagagliaio e mi diressi all'ingresso di quella che sarebbe stata la mia nuova abitazione da ora in avanti: una vecchia casa destinata all'uso da un'unica persona, date le dimensioni ristrette, con la facciata che dava su una piazza altrettanto piccola.

Non mi girai a salutare mio padre e credetti che la cosa andasse bene anche a lui.

«Etienne, aspetta». Ma forse mi sbagliavo.

«Che vuoi?» domandai freddo.

«Hai... hai tutto con te?»

Sospirai. «Se ho dimenticato qualcosa esistono sempre i supermercati».

«D'accordo, bene. Chiama tua madre uno di questi giorni. Non vi siete neanche salutati prima di partire». Il suo tono esitante mi spinse a chiedermi quanto ci aveva impiegato nel trovare il coraggio per dirmi quelle poche parole.

Poggiai il borsone a terra e mi decisi a guardarlo. «Credi davvero che le importi? Ha il mio numero, se vuole sa dove trovarmi. Torna a casa ora, il viaggio è lungo» chiusi il discorso il più in fretta possibile, soprattutto perché non avevo alcuna voglia di parlare di lei.

Mio padre si irrigidì, probabilmente le mie parole lo avevano ferito ma la cosa non mi toccava affatto. «Vado. Etienne ascolta, per quanto può valere... non è stata colpa tua...» aggiunse prima di salire in auto.

«Vattene ho detto!» sbraitai.

Dopo essermi chiuso la porta alle spalle, mollai il borsone a terra e mi diressi in camera; la casa aveva il minimo indispensabile per viverci e di certo non mi sarei fatto prendere dalla smania dell'interior design per completare l'arredamento.

Mi distesi sul letto, di schiena, braccia aperte e occhi chiusi. Ascoltai il mio respiro e per la successiva mezz'ora non feci altro.

Alla fine, mi decisi a raccogliere il mio telefono, eliminando volutamente le notifiche dei miei due, per così dire, amici di Lione dove mi chiedevano che fine avessi fatto.

La decisione di trasferirmi qui all'improvviso era stata mia, nessuno mi aveva obbligato e avevo scelto di farlo senza dirlo a nessuno; solo i miei lo sapevano. Fortuna aveva voluto che mio padre avesse ereditato quella casupola da un suo zio alla lontana; c'era qualche lavoretto da fare ma era vivibile, e soprattutto lontana quattro ore da Lione.

C'era stato un unico problema che mi aveva impedito di prendere questa decisione in fretta: io odiavo a morte i cambiamenti. Mi infastidivano, mi irritavano. Era come indossare dei pantaloni con la patta sul di dietro. Ma questa volta avrei dovuto adattarmi, perché gli avvenimenti dell'ultimo mese mi avrebbero tenuto lontano a lungo dalla mia vecchia città, se non addirittura per sempre.

Eternal. Primo romanzo saga Libellule di diamanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora