Primo capitolo

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Aprile 2015, il tempo sembra favorevole alla nostra missione.
UMP (Una missione possibile) l'avevo nominata, al contrario dei miei compagni d'avventura, che stavano già battendo la fiacca, nonostante le barche fossero partite solo da 40 minuti, circa.
Il mare è calmo, calmo da far paura.
«Sarà difficile così» mi sussurró Zayn, migliore amico d'infanzia. Non eravamo avversari, nè compagni di lavoro. Il suo compito era molto diverso dagli altri uomini sulle altre barche. Egli era venuto per assistere me, per darmi il sostegno necessario in caso dovessi fallire.
Controllava sul suo Ipad ancora ben carico il posto in cui ci trovavamo, i diversi punti principali.
I minuti passavano, mi fece cenno di essere in una buona postazione. Aveva controllato la profondità del mare, la temperatura e il fondale.
«Decisamente perfetto» aveva sussurato, venendomi dietro. Poggió entrambe le mani sulla mia schiena, una sul basso per tenere salda la tuta, l'altra mano stava seguendo la cerniera, arrivando sino alla nuca per chiuderla.
«Mi raccomando» disse, sottovoce, come se ci fosse qualcuno lì presente. Sapevamo entrambi che nessuno ci avrebbe sentito, nè visto.
«Devi stare tranquillo e poi ricorda, posso sentirti grazie a questo!» feci cenno al mio orecchio, dove avevo premuto l'auricolare che ci teneva a contatto prima di mettere il casco che avrebbe permesso di tenermi in vita, lì sotto.
Sospirai e mi misi seduto al bordo della barca, toccando con i piedi i familiari scalini che non facevano che portarmi sù e giù con facilità, da ormai sette anni.
Sì, avevo iniziato presto ed era tutto merito di papà.
Ma mentre l'acqua ricopriva il casco, cambiava il colore a ció che vedevo e rendeva tutto più calmo, capii che quello non era proprio il momento adatto per parlare di mio padre.
In quel momento c'eravamo solo io, la torcia e la mia riserva d'ossigeno.
«Come va lì sotto?» ed eccolo, puntuale come al solito.
Il mulatto non perdeva tempo, io risi e non risposi nemmeno. Come poteva preoccuparsi in quel modo? Erano solamente passati trenta secondi, eppure gli sembrava non rispondessi da anni dato che non faceva che ripetere il mio nome.
Decisi allora di rispondere, sia per il mio orecchio ormai stanco di sentirlo, che per la missione.
«Io sto bene, appena trovo qualcosa ti faccio sapere» avevo chiuso così la discussione, troncandola velocemente.
Le meraviglie sott'acqua erano qualcosa di incredibile, nonostante ci fosse difficoltà per via della luce artificiale, tutto quello che si intravedeva rendeva quel posto il giardino dell'Eden.
«Penso di aver visto qualcosa..» sussurrai, allungando il braccio libero verso quel che sembrava un cofanetto dietro un'alga.
Sembrava, avevo detto bene. «Cazzate» mi corressi, riprendendo a nuotare più ad Est, verso dei colori affascinanti, quasi abbaglianti.
Erano delle alghe di un rosso acceso, sembravano diverse da tutte le altre, così rimasi lì, a scattare qualche foto e cercare tra esse qualcosa che potesse rendere quel viaggio più interessante.
Vidi qualcosa muoversi, velocemente, venirmi incontro con una furia impressionante. Sembrava uno sciame!
«Ma che c..» stavo per continuare, quando i pesci terminarono e scapparono via.
«Cosa c'è?» sentii la voce di Zayn, ansioso come suo solito.
«Forse ci sta qualcosa..» vagamente spiegai, senza particolari. Le gambe non facevano che seguire la corrente che avevano lasciato quei pesci, quasi una famiglia intera che scappava via. Una scena che mi fece sollevare il sopracciglio destro e dalla curiosità mi fece aumentare la velocità con cui nuotavo.
«Bingo!» esclamai, trovandomi davanti una vera e propria nave. O meglio dire, i resti di una nave.
Zayn continuava a parlare, ma non davo corda alle sue frasi, sentivo solo bisbigli dopo bisbigli, mentre davanti di me un mucchio di roba si spostava, favorita dai movimenti delle mie mani, che liberavano la via.
Un quadro ormai dai bordi consumati, delle cassette che sembravano contenere materiale di vetro, data l'abbondante quantità trovata in fondo. Di colpo il timone mi venne addosso, sbattendo contro il mio casco. Cos'era stato?
Lo spostai, cercando di capire da dove fosse arrivato, così ripresi a nuotare, verso l'alto stavolta e un po' più a Nord.
«Scendi la gabbietta, ho qualcosa di pesante qui» dicendolo, i miei occhi si spalancarono e sorrisi, piegandomi per raggiungere quel che era un vero e proprio porta gioielli, o porta cose.
Con le mani non riuscii ad aprirlo, ma al tatto e sollevandolo sembrava davvero qualcosa di pesante e importante.
«L'oro, Zayn. L'oro!» esclamai, prendendo quel cassettone rettangolare, chiuso con un lucchetto quasi più grande del portacose stesso. Brillava ancora.
Riuscii a posarlo dentro la gabbietta, prima di sentire la mia gamba più pesante, tirata. Sentivo delle mani, mi sembravano vere e proprie dita, ma forse era soltanto l'agitazione che mi stava facendo vedere quello.
«Cazzo di alga!» sbottai, cercando di chiudere la gabbia e attaccandomi ad essa con le mani, per risalire in superficie. Era impossibile:
Qualcosa mi aveva afferrato e non si trattava di un'alga. Era un pesce enorme.

Underwater. (I can breathe)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora