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Alvaro Vega mi aveva raccolta dalla strada quando avevo soltanto undici anni

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Alvaro Vega mi aveva raccolta dalla strada quando avevo soltanto undici anni. Mia madre non era mai a casa e io non avevo nulla da fare in una città come Las Vegas che non fosse vagabondare per le strade, osservando la folla incessante che entrava e usciva dai casinò. Non mi era permesso accedere ai locali a causa della mia età, ma amavo appollaiarmi sul marciapiede e semplicemente osservare, finché non arrivava qualcuno a mandarmi via. Rimanevo incantata dall'euforia con cui le persone varcavano la soglia, vestiti di tutto punto e con i portafogli ancora gonfi nelle tasche, ma la parte più divertente era la rabbia con cui ne uscivano: chi inveiva contro la propria sfortuna, chi, con più dignità, cercava di nascondere la delusione.

Ogni sera, quando non ero occupata a tirar fuori mia madre da qualche guaio, mi appostavo lì fuori e guardavo dall'esterno le enormi sale, aspettando soltanto il giorno in cui mi avrebbero permesso di entrare.

Fu durante una di quelle sere che incontrai per la prima volta Alvaro Vega. Si stava dirigendo verso l'ingresso quando mi notò. Indossava un abito elegante color antracite, perfettamente tagliato su misura, da cui spuntava una cravatta nera.

Pensai che stesse per mandarmi via come facevano tutti, ricordandomi che quello non era un posto per una ragazzina e che era pericoloso. Invece, si piegò sulle ginocchia e mi osservò dritto negli occhi.

«Ci conosciamo?»

Scossi la testa, studiando con attenzione i lineamenti del suo viso e i suoi occhi scuri.

Mi scrutò a lungo, e io mi resi conto di quanto mi mettessero a disagio gli sguardi delle persone.

«Come ti chiami?»

«Talya, Talya Wilson.»
La verità era che quello non era il mio vero cognome. Quando ero nata, mia madre aveva sfogliato le pagine di un vecchio libro e aveva semplicemente scelto quello che le suonava meglio. Non voleva che venissi associata a lei, e nessuno aveva la minima idea di quale fosse il cognome di mio padre.

«Cosa ci fai qui?»

Non ero una bambina loquace. Mi limitavo a osservare, riflettere su ciò che mi veniva detto e, soltanto se necessario, trovare una risposta. Evidentemente quella domanda non risultò abbastanza interessante da meritare una mia risposta, poiché mi ritrovai a stringermi nelle spalle, per poi portare lo sguardo sull'ingresso del locale dove un gruppo di ragazzi stava entrando.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 06 ⏰

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