Un gioco

73 10 3
                                    

Chiusi gli occhi, perché baciare qualcun altro per il dolore causato dalla persona che amavo mi rendeva un essere alquanto terribile.

Avevo solo bisogno di contatto fisico, di sentire che qualcuno effettivamente ci fosse, e pensare che quelle labbra fossero di Mile era la mia unica salvezza.

Perché sì, dipendevo ancora da lui e la sua assenza mi faceva male. Era quello su cui dovevo ancora lavorare, non sullo spazio che ritenevo strettamente necessario. Perché la realtà dei fatti era che senza di Mile non riuscivo a vivere, provavo dolore fisico e psicologico per la sua assenza durante le giornate.

Ma ormai era troppo tardi per tirarmi indietro e peggiorare la situazione. O forse no.

Micol mi mise una mano sulle labbra, premendola su quest'ultime e impedendo che compiessi quella idiozia fatta con incuranza. Mi sentivo ancor peggio di prima.

«Ax, devi calmarti. Non posso permettere che tu faccia certe cazzate in questo momento di fragilità, va bene?»

Mi sentivo così in imbarazzo. Probabilmente Micol avrebbe voluto porre fine alla nostra amicizia e io non avrei potuto fare altro che dargli ragione.

«Entriamo dentro.» propose infine, prendendomi la mano e trascinandomi nel suo salotto.

Avevo già visto casa sua una volta dall'ingresso, ma non ero mai entrato dentro e tutto quel grande spazio mi fece mancare il respiro.

«Vado a prenderti un bicchiere d'acqua. Tu aspettami sul divano, che poi mi racconti tutto. Okay?»

Annuii e feci come mi disse, attendendo il suo ritorno.

Dopo cinque minuti gli spiegai tutto quanto, comprese le parti in cui io capii di dipendere completamente da Mile e che senza la sua presenza cominciavo davvero a soffrire.

«È normale, in questo momento sei più suscettibile che mai perché vi siate lasciati da poco. Certo, arrivare a tanto dopo appena due mesi è da stronzi ma...se lui è veramente andato oltre, allora dovresti farlo anche tu.»

No, non volevo e comunque non ci sarei mai riuscito sebbene volessi. Scossi la testa, contrariato, mentre le lacrime mi appannavano nuovamente la vista.

Come potevo lasciarmi otto anni alle spalle? Che guaio irreparabile che avevo combinato...

« È stata tutta colpa mia. Pensavo che prenderci un po' di tempo per noi stessi fosse la cosa giusta, ma evidentemente mi sbagliavo...» singhiozzai.

Micol sospirò, aprendo le braccia e invitandomi ad abbracciarlo.

« Non voglio stare così male, perché mi ricorda come mi sentivo a diciassette anni, e tutto riconduce a ciò da cui sono fuggito per tutti questi anni. O almeno da cui ho provato a fuggire. »

Una rabbia irrazionale mi pervase e sentii seriamente la necessità di sputare fuori tutto quello che pensavo.

« E sai una cosa? Che io, in realtà, non l'ho mai superata tutta questa storia! Mi sono andato a infilare proprio a casa dell'assassino di mio padre e in tutti questi anni non gli ho nemmeno reso giustizia come si deve! L'unica cosa che ho fatto è stato innamorarmi di suo figlio che, peraltro, è un pezzo di merda! Ma cosa cazzo avevo in testa?! È solo bravo a fare quello possessivo della coppia, che per placare la sua gelosia comincia a spaccare oggetti! E poi, io non sono mai realmente scappato via da questo inferno e altrettanto non ho risolto nulla! Sono una pessima persona, mi faccio schifo! »

Continuavo a inveire su tutti quegli ultimi anni come se non ci fosse un domani, seppure non pensassi davvero quelle parole cariche di veleno che sputavo su Mile.

Rivivere Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora