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Durante il resto della giornata riflettei a lungo, tanto che non scesi nemmeno a cenare con gli altri al piano di sotto. L'unica tradizione che abbiamo mantenuto nonostante l'età è stata mangiare insieme come una vera famiglia, la cena è il momento più importante per noi. Si crea un luogo unico dove lasciamo spazio solo al dialogo, ai progetti e alle stronzate ma abbiamo un giorno alla settimana nel quale possiamo non presentarci, io l'ho sfruttato durante il giorno dl mio compleanno. Sicuramente non li ho stupiti, lo faccio ogni anno.
Siamo in sei e ognuno di noi ha un brutto passato alle spalle e non so come, ma ci siamo trovati. Viviamo un rapporto fraterno a tutto gli effetti, fatta eccezione per Nate, ognuno ha il suo ruolo e i suoi sogni ma nonostante tutto siamo uniti come gli anelli di una catena indistruttibile. Ci siamo costruiti una famiglia da soli perché le nostre non ci apprezzavano abbastanza, è duro da ammettere ma, se qualcuno di noi non fosse scappato, probabilmente oggi non sarebbe qui a raccontare la sua storia.

Per me è un classico, inondarmi di pensieri il giorno del mio compleanno, ma decisi di porre fine a questa tortura. Mi cambiai, indossai degli shorts rosa cipria da palestra con il loro completo top e felpa e andai verso la nostra palestra privata.

Non eravamo né ricchi, né poveri, abbiamo faticato anni per costruirci il nostro impero e abbiamo fatto fin troppi sacrifici. Tutti e sei lavoravamo e nel contempo, per chi non aveva ancora terminato, continuava gli studi. Fortunatamente io ho terminato il collage prima dell'estate, sognavo sin da piccola di diventare avvocato e per questo ho sempre dato il massimo di me, per entrare ad Harvard. Ebbi la gioia di entrare nel campus e oltre a quello, grazie al mio impegno precedente, ebbi una borsa di studio che si rinnovò per tutti e tre gli anni. Quindi potei usufruire della maggior parte dei sevizi a costo ridotto se no, in caso contrario, non sarei riuscita minimamente a sorreggere tutte le spese. Essendo uscita da Harvard le possibilità di impiego sono molteplici, per lo più se si è usciti con il massimo dei voti ma sono rimasta fedele alla 'Pearson' uno dei migliori studi legali in America. Feci lì il primo periodo da associata e da lì in poi rinnovai, anche se la mole di lavoro era insostenibile, quello era ciò che ho sempre desiderato. Ho avuto i miei primi approcci in aula come avvocato secondario e ho iniziato a seguire delle cause minori totalmente da sola ma nel mentre dovevo collaborare con il mio supervisore per eventi id maggiore importanza.

Il signor Bone mi scelse sin dal primo giorno, non ho ancora idea del motivo ma non è un uomo che pensa troppo alle chiacchiere però, in compenso, la sua segretaria mi adora ed io adoro lei. Dana è una donna meravigliosa e non riesco a concepire come possa organizzare interamente la vita del signor Bone, la cosa bella è che lei sa tutto, sempre. Qualsiasi cosa tu abbia da chiederle o da raccontarle, lei già la sa. Contemporaneamente sa ogni impegno e ogni dettaglio del suo superiore e non capisco come faccia a tenere tutto a mente. Quindi si, sono un avvocato, finalmente.

Arrivai in palestra, era deserta. I ragazzi passano la maggior parte del tempo tra queste quattro mura ed è raro non vederli qui ma probabilmente staranno ancora mangiando. Iniziai facendo stretching per una ventina di minuti e proseguì con il mio solito allenamento in sala pesi. Negli ultimi anni sono migliorata molto a livello di forza e ovviamente anche a livello fisico ed è una cosa che mi rende davvero felice. Terminato l'allenamento guardai l'orologio, erano le 22:40, cosa ho fatto per tutto questo tempo? Guardai il mio riflesso nello specchio a parete, ero sudata ma non sentivo di aver fatto alcuna fatica. Il mio sguardo saettò verso il sacco da boxe e sussurrai tra me e me: "È il momento giusto per sfogare la mia rabbia, sta notte dormirò come una bambina!". Mi affrettai e iniziai con i bendaggi, terminato il lavoro mi soffermai sulle mie mani e sbuffai: "Sti cazzi dei guantoni".

Quindi, con i capelli scuri raccolti in una coda disordinata, avanzai con passi decisi verso il centro della stanza. Percepì un cambio nei miei occhi, un tempo vivi e brillanti, erano ora due pozzi profondi e insondabili, pieni di un'energia indomabile che cercava disperatamente di canalizzare. Mi fermai di fronte al sacco, fissandolo con uno sguardo carico di emozioni represse. Iniziai con un pugno secco, un colpo diretto che fece ondeggiare il sacco. Poi un altro, e un altro ancora, aumentando ritmo e intensità. Serrai i denti, concentrando tutta la mia forza nei pugni. Ogni colpo era un grido silenzioso, un'implorazione di liberazione.

Le mie braccia si muovevano in una danza frenetica, alternando ganci e diretti, colpendo il sacco con una furia cieca. I colpi risuonavano come tuoni nella stanza vuota, ogni impatto era un tuono che scatenava una tempesta interiore. I miei pugni erano un metronomo impazzito, scandendo un tempo tutto suo, un tempo di sofferenza e redenzione.

Le nocche premevano contro il tessuto ruvido, il dolore si propagava dalle mani alle braccia, raggiungendo il cuore. Ogni pugno sembrava alimentare la mia determinazione, un ciclo infinito di dolore e resistenza. La pelle si lacerava sotto la pressione costante. Gocce di sangue cominciarono a dipingere i bendaggi, disegnando macchie rosse e scure. Ma non mi fermai.

Con un grido muto, alzai il braccio destro e sferrò un gancio devastante, seguito immediatamente da un montante sinistro. Il sacco sobbalzò, oscillando selvaggiamente. La rabbia mi travolgeva come un'onda, e io la cavalcavo, colpendo con una ferocia che sfidava ogni limite. Il sudore mi colava lungo la schiena, mischiandosi al sangue che impregnava le bende. I miei respiri erano affannosi, ma non per la fatica fisica: era l'anima a essere esausta, schiacciata dal peso di emozioni che non riusciva a esprimere in altro modo. La tensione nei muscoli delle braccia era palpabile, ogni colpo un atto di pura volontà. Sentiva la pelle strappare, la carne bruciare, ma il dolore fisico era solo un'eco lontana del tumulto dentro di lei. I suoi pugni diventavano sempre più frenetici, i colpi si susseguivano senza sosta, come se cercasse di esorcizzare un demone invisibile.

Finalmente, con un ultimo, potente pugno, il sacco oscillò violentemente. Mi fermai con il respiro affannoso e il corpo tremante. Le mani erano una maschera di sangue e sudore, ma nei miei occhi percepivo un piccolo spiraglio di luce. Forse, solo per un momento, avevo trovato quella pace che cercavo disperatamente. Ma sapevo che sarebbe stata una tregua breve, e che presto sarei tornata a combattere, contro me stessa e contro quel sacco, in una lotta senza fine.





Chiusi la porta della palestra dietro di me, sentendo il peso della stanchezza e delle emozioni accumulate durante l'allenamento. Con passo deciso mi diressi verso la mia camera da letto. Le pareti sono un rifugio familiare, ma oggi sembrano solo un altro ostacolo da superare. Ogni passo rimbomba nel silenzio della casa, quasi come se il suono stesso delle mie scarpe da ginnastica sul pavimento tentasse di confortarmi. Aprì la porta della mia stanza e la richiusi alle spalle, isolandomi dal resto del mondo. Il mio bagno mi attende, un santuario dove posso finalmente lasciarmi andare. Mi fermai davanti allo specchio, guardando il riflesso della mia immagine esausta. Le cicatrici sul mio corpo sono la mappa del mio passato, segni indelebili di battaglie combattute e perse. Passai una mano tremante su una delle cicatrici, il dolore che riaffiora come un'onda in piena quando pensavo di essermene liberata fino a poco prima. Mi spogliai lentamente dal completino sportivo, lasciandolo cadere sul pavimento. Il tessuto leggero scivolò via, e rimasi solo con indosso l'intimo nero in pizzo. La pelle sotto il pizzo è sensibile e le cicatrici sembrano pulsare sotto il tocco del tessuto delicato. Mi liberai anche dell'intimo, lasciandomi completamente esposta di fronte allo specchio. Accesi la doccia e lasciai che l'acqua calda iniziò a scorrere. Il vapore riempì rapidamente la stanza e mi avvolse in una nuvola di calore umido. Entrai sotto il getto d'acqua, chiudendo gli occhi e lasciando che il calore penetrasse nei muscoli tesi e doloranti. Ogni goccia d'acqua sembra lavare via un po' della tensione accumulata, ma le cicatrici rimangono, testimoni silenziose del mio dolore. Presi il bagnoschiuma al cocco, il suo profumo dolce e avvolgente mi offrì un attimo di conforto. Ne versai una generosa quantità sulle mani e iniziai a strofinarlo sulla pelle e sulle mie cicatrici. Come se potessi lavare via anche i ricordi, insistetti con più forza, sperando che il profumo di cocco potesse cancellare ciò che è inciso nella mia carne. Il sapone formò una morbida schiuma che scivolò via, lasciando la pelle liscia ma il cuore ancora pesante. Chiusi gli occhi, lasciando che l'acqua facesse il suo lavoro, sperando che il vapore potesse nascondere il dolore che sento dentro. Uscì dalla doccia, avvolgendomi in un grande asciugamano morbido. Mi asciugai lentamente, accarezzando ogni cicatrice con cura, come per ricordarmi che, nonostante tutto, sono ancora qui, ancora in piedi. Il dolore non è andato via, ma almeno, per ora, è sotto controllo. Mi guardai allo specchio un'ultima volta prima di tornare in camera. Mi sentì un po' più leggera, un po' più forte. So che la battaglia è lontana dall'essere finita, ma almeno per stasera, posso concedermi un momento di tregua. Così mi addormentai, ancora cinta solo e unicamente dall'asciugamano.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 18 ⏰

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