IL MIO CADETTO

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Mi ritrovo a giocherellare con il mio walkman e con le cuffie oramai ridotte a un brandello. Potrei comprarle nuove, lo so, potrei cambiare anche il lettore di musicassette, ma non lo faccio, è l'ultimo regalo dei miei genitori.

Comunque, Marco, mi aveva chiamato ieri sera per dirmi che il libro ordinato tempo fa è finalmente arrivato. Ero a farmi una doccia, saranno state le dieci, e pensavo a lui, mi toccavo il sesso e l'acqua tiepida era dolorosa come una spugna di carta vetrata sulla schiena. Non so perché, a un tratto, avevo immaginato la mano di Adam afferrare la mia, e mi aveva detto: «Voglio stare qui, Lucas, qui con te e finché vorrà il mondo, baciami. E quando il mondo non vorrà più, tu baciami lo stesso. Tu sei mio, Lucas!».

Il telefono si era messo a squillare e io ero corso nudo verso il mobiletto bar, con il mio sesso a penzoloni, ero inciampato nel tappeto arancione ed ero atterrato come un aereo monoposto su qualche pista malconcia.

«Sono Marco, il tuo libro è arrivato mezz'ora fa, se vuoi passare, ti aspetto, tanto resto qui, altrimenti domani, o ti vengo incontro adesso, che dici?»

«Grazie Marco, meglio domani!»

Avevo tagliato corto, le parole mi si erano smorzate in bocca e avevano il sapore acre e frizzantino dell'aspirina.

"Oddio," avevo pensato "la sua voce è... Oddio, è l'ultimo avamposto della Terra, oppure il primo suono che ascolta un naufrago in un'isola deserta."

Me ne ero andato a letto stordito.

Per qualche minuto mi erano riecheggiate le sue parole: «Ti vengo incontro, TI VENGO INCONTRO».

Cosa sarebbe accaduto se avessi risposto di sì? Lo avrei atteso in strada e lui con il mio libro fra le mani che si sbracciava, dicendomi: «ECCOMI, sono qui, finalmente».

Che avrebbe fatto Marco?

Mi avrebbe ucciso, ecco, UCCISO.

Avevo impostato la sveglia alle sette e dieci, accarezzato la foto di mia mamma sul comodino, spento la luce e avevo guardato fuori, oltre la tenda color pastello c'erano ancora alcuni vasi di gerani in fiore, protetti dallo spiovente tetto che mi nasconde dalla città, e poi, il grande vaso di rosmarino, imponente, selvaggio, profumatissimo, quasi una figura retorica che mi ricorda la tenuta al mare e la terrazza padronale della grande Villa di famiglia.

Avevo guardato dietro di me, a mezz'aria, il disegno di mia mamma che faceva delle leggere pieghe. Mi ero addormento con gli occhi lucidi.

***

Non vedo l'ora di leggere quell'edizione commentata di Maurice di Forster che cerco da tempo. Ma sono soprattutto impaziente di stare qualche ora con Marco. Non mi basta sognarlo la notte o immaginare di scoparlo, di baciarlo e poi scoparlo ancora, non voglio più limitarmi a svuotarmi le palle fantasticando sul suo sesso, sul suo corpo, sulla sua voce. Voglio averlo tutto dentro di me. Sono sopraffatto da lui e ogni volta mi trema la voce e mi fa male lo stomaco. Io, Lucas, sono un ragazzo decisamente poco incline alle smancerie, e soprattutto non ho mai corso dietro a nessuno, ma ora sono qui, con lo stomaco in subbuglio, per uno di cui ho la convinzione che sia etero. Non posso farci nulla, oramai mi ha fottuto il cervello. Sono già diversi anni che lui è la mia droga e mi sballa in qualche vicolo notturno di una Pisa che non odio, ma neppure amo. Io, Lucas, sono qui, a morire e poi rinascere e ancora morire mille volte, che dico, migliaia di inafferrabili istanti, perduti nel viso meraviglioso di te, Marco!

Finalmente, e dico finalmente, perché odio aspettare e stramaledico i ritardi, lo vedo che affretta il passo e cerca di scansare quell'ammasso di ragazzi e turisti che ha riempito la piazza, come se fosse un cazzo di stadio olimpico. Marco è sempre carino con me, gentile, piuttosto premuroso, forse anche troppo, non siamo amici, intendiamoci, non siamo mai usciti insieme neppure a bere un caffè, però percepisco una corrispondenza fra di noi, ed è la cosa più bella. Non parlo di una intesa sessuale, che ovviamente per me c'è, mi riferisco a qualcosa di più intimo, qualcosa che mi prende l'anima. Sentire che ci comprendiamo in profondità senza passare dalla superficie lo reputo straordinario. A volte credo sia lui a spingersi verso di me, e mi chiudo, e faccio il cazzuto ragazzo, a volte anche lo stronzo che vuole mantenere le distanze. E butto quella corrispondenza nel cesso. «Sono un enigma, Lucas è un enigma» ripeto sospirando. Mi piace, la mia pelle dice che è la persona per me in questa città, però nulla, con Marco è tutto così difficile. Mannaggia. Fosse come gli altri, avrei fatto la prima mossa. Invece no. Forse mi piace così tanto perché è diverso. No, non è come gli altri. Lui è Marco, la mia dopo-anfetamina presa furtivamente da uno spacciatore, in una notte come tante, all'Oasis, locale per froci, checche, trans, sposati che vogliono scopare o farsi montare nei sudici bagni imbevuti di sperma e urina. Lui è il mio Marco, seduto su un divanetto del locale, abbagliato dalle luci stroboscopiche a sorseggiare incauto un drink, e io che mi avvicino e lo prendo per mano e gli dico: «Andiamo, qui non troverai l'amore, andiamo!».

SEMPRE BLUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora