Capitolo 1

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Trisha

Il suono del campanello sopra la porta tintinnò dolcemente mentre la aprivo, attirando l'attenzione del barista intento a preparare un caffè per un cliente. Alzò lo sguardo, riconoscendomi immediatamente, e mi salutò con un ampio sorriso.

"Buongiorno, signorina!" esclamò con la sua consueta allegria. Risposi al saluto con un cenno della testa, aspettando pazientemente che finisse di servire la signora di fronte a lui. Non si girò nemmeno a chiedermi cosa volessi, un comportamento che agli occhi di un estraneo avrebbe potuto sembrare scortese.

Ma io e il vecchio barista, Carlo, eravamo diventati amici fin dal primo giorno in cui ero entrata nella sua piccola pasticceria. Forse era il mio amore per le sue ciambelle glassate alla vaniglia che aveva fatto scattare subito qualcosa tra di noi. Quelle ciambelle erano irresistibili, e non potevo fare a meno di complimentarmi con lui ogni volta che ne gustavo una. Ricordo ancora quel primo giorno: mi offrì la colazione, dicendo che era "per la nuova cliente speciale". Da quel momento, il mio rituale mattutino includeva una visita qui, prima di iniziare la mia giornata di lavoro. E così, col tempo, tra me e Carlo si creò un rapporto fatto di piccoli gesti quotidiani e conversazioni semplici, che avevano reso questo luogo la mia seconda casa.

Carlo appoggiò sul tavolo davanti a me la sua super gustosa ciambella e un cappuccino, la mia solita colazione. Il suo sguardo era carico di quella calma che solo l'esperienza e gli anni sanno donare.

"Novità?" mi chiese con il solito interesse sincero.

"Niente di particolare," risposi, facendo un respiro profondo. "Solo più lavoro del solito. Non posso nemmeno prendermi una pausa che il lavoro si raddoppierà. Onestamente, non so se ho fatto bene a prendere questa strada, ma alla fine sto facendo qualcosa che mi piace. Non oso immaginare di mettermi a lavorare seduta per ore, giorni, settimane davanti a un computer. Non so come faccia Elysa."

Carlo annuì comprensivo, mentre sorseggiava il suo espresso. Sapeva quanto Elysa ed io fossimo diverse, ma proprio per questo così complementari. Elysa, con la sua mente analitica e la sua pazienza infinita, riusciva a trovare soddisfazione in un lavoro che io avrei trovato soffocante. Era incredibile come riuscisse a concentrarsi su ogni dettaglio, a rimanere seduta per ore senza mai perdere il filo. Io, d'altra parte, avevo bisogno di movimento, di contatto umano, di qualcosa che mi tenesse attiva.

"È importante trovare ciò che ti fa stare bene," disse Carlo, interrompendo i miei pensieri. "Non è sempre facile, ma se hai trovato qualcosa che ti piace, allora sei già a buon punto."

Sorrisi, riflettendo sulle sue parole. Elysa amava il suo lavoro quanto io amavo il mio. E forse era proprio questa la chiave del nostro equilibrio: lei con i suoi numeri e i suoi progetti, io con le mie passioni e il mio bisogno di esplorare.

Beh, per chi non l'avesse capito, io lavoro nel campo della moda e la mia cara migliore amica Elysa è una segretaria. Sì, un lavoro completamente diverso e complesso a modo suo.

Tra eventi, shooting fotografici e lanci di nuove collezioni, le mie giornate erano sempre piene di sfide. Amavo immergermi in quel caos, dove l'ispirazione poteva nascere da qualsiasi cosa: un tessuto, una conversazione, persino un sogno.

D'altra parte, Elysa era il mio opposto. Lavorava in un ufficio ordinato e pieno di scartoffie, gestendo calendari, email, e richieste infinite. La sua vita professionale era fatta di rigore e precisione, qualità che io ammiravo ma che non sarei mai riuscita a coltivare nello stesso modo. Eppure, nonostante le nostre differenze, eravamo inseparabili.

"Due mondi completamente diversi," dissi, appoggiando la tazza.

La notifica di un messaggio mi distrae, facendomi sussultare per l'improvviso suono. È Lucia, che mi chiede di prenderle un caffè visto il suo ritardo.

"Carlo, potresti prepararmi un caffè lungo da portare via? Ah, e anche una brioche, grazie!" chiedo mentre invio rapidamente una risposta a Lucia per farle sapere che ci sto pensando io.

Carlo mi lancia uno sguardo curioso mentre inizia a preparare il caffè. "Per qualcuno o per la tua merenda?" domanda con un sorriso malizioso.

"Per Lucia," rispondo con un sospiro. "Si è svegliata tardi, a quanto pare, e non ha tempo per fare colazione. Quindi mi ha chiesto di prenderle un caffè e una brioche."

Carlo annuisce, continuando a lavorare con la sua solita efficienza. "Capisco. Succede a tutti, ogni tanto. Anche se, personalmente, non riesco a immaginare di iniziare la giornata senza una buona colazione," commenta mentre confeziona con cura la brioche e chiude il caffè con un coperchio.

Prendo la busta con la brioche e il caffè caldo. "Grazie, Carlo. Sei sempre un salvatore," dico, sorridendo mentre mi preparo a uscire dalla pasticceria.

Mentre mi avvio verso l'ufficio, caffè e brioche in mano, guardo l'orario per sapere se sono giusta nei tempi.

Mentre camminavo, distratta a controllare l'orario, improvvisamente sbattei contro qualcosa di duro. Un muro? No, decisamente non era un muro. "Merda, la camicia!" mormorai tra me e me, sentendo il calore del caffè rovesciarsi sulla mia camicia bianca.

"Hey, guarda dove vai!" esclamò una voce maschile, profonda e irritata.

Cosa? Il muro ha parlato? Alzai lo sguardo e incontrai un paio di occhi verde scuro che mi fissavano intensamente. Mi accigliai, il fastidio montando rapidamente. "Guarda dove cazzo vai tu!" replicai furiosa. "Hai visto cosa mi hai fatto? Lo vedi la mia camicia?" Gli urlai contro, indicando la macchia marrone che si stava allargando sul tessuto.

Lui mi fissava in modo strano, con un'espressione che non riuscivo a decifrare. Per un attimo sembrò quasi che volesse rispondere, ma si limitò a guardarmi, il suo sguardo che passava dalla mia camicia al mio viso, come se stesse cercando di capire qualcosa.

"Stai bene?" chiese finalmente, con un tono che sembrava sincero, ma non riuscivo a decidere se fosse più preoccupato o divertito dalla situazione.

"Sto benissimo," replicai seccamente, cercando di asciugare il caffè con il fazzoletto che avevo in borsa. "Grazie per aver rovinato la mia giornata."

Lui sorrise leggermente, come se la mia rabbia lo divertisse. "Non è un buon inizio di giornata per nessuno, a quanto pare. Lascia che ti aiuti."

Nonostante fossi ancora infastidita, c'era qualcosa in quel sorriso che mi fece esitare. Dannazione, la mia camicia era un disastro, e ora avrei dovuto tornare a casa a cambiarla, rischiando di far tardi. Gli lanciai un'ultima occhiataccia prima di voltarmi e cercare di capire cosa fare dopo.

"Cazzo, proprio ora doveva succedere!" borbottai tra me e me, mentre guardavo la macchia di caffè che continuava ad allargarsi sulla mia camicia. Decisi di non perdere altro tempo. Tornare a casa a cambiarmi avrebbe significato arrivare tardi al lavoro, cosa che non potevo permettermi.

Decisi quindi di proseguire verso l'azienda, sperando di poter prendere in prestito una camicia pulita da qualcuno. Forse avrei potuto trovare qualcosa di adatto nel guardaroba di emergenza che tenevamo in ufficio per le occasioni speciali o gli imprevisti. Non era la soluzione ideale, ma era meglio che presentarsi al lavoro con una camicia macchiata.

Attraversai la strada rapidamente, cercando di ignorare lo sguardo penetrante dell'uomo con cui avevo appena avuto lo scontro. Sentivo ancora il suo sguardo su di me, ma decisi di non voltarmi indietro. Dovevo concentrarmi su come rimediare a quel disastro e rimettermi in carreggiata. La giornata era appena iniziata, e non potevo permettere che un piccolo incidente la rovinasse completamente.

Con un ultimo sospiro esasperato, accelerai il passo, determinata a raggiungere l'ufficio e a rimettere in sesto la mia mattinata, costi quel che costi.

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