Capitolo 5

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Feci finta di niente e ripresi a mangiare la mia ciambella, concentrandomi su ogni singolo morso come se fosse la cosa più importante del mondo. Pregavo seriamente che quel tipo non si avvicinasse a me, che non attirasse l'attenzione o, peggio, che non urlasse qualcosa contro di me. Ma le preghiere, come spesso accade, non furono ascoltate.

"Hey, principessa!" esclamò con un tono che riuscì a farsi sentire sopra il chiacchiericcio della pasticceria.

Merda.

Sentii il cuore accelerare, ma feci appello a tutta la mia forza di volontà per non alzare lo sguardo. Non guardarlo, Trisha. Fai finta di niente. Non lo conosci. E in fondo, era vero, non lo conoscevo davvero.

Continuai a mordere la mia ciambella, anche se il sapore della glassa dolce alla vaniglia ora sembrava lontano, come se la mia mente fosse troppo occupata a capire come comportarsi per poter apprezzare davvero il mio dolce preferito.

Lui però non si fece scoraggiare dal mio silenzio. Si avvicinò con passo deciso, il sorriso ancora dipinto sul volto, e si appoggiò al bancone proprio di fronte a me, piegandosi leggermente in avanti. "Allora, come va la tua camicia? Spero che la mia piccola sorpresa di ieri abbia aiutato a migliorarti la giornata."

Sentii la tensione crescere, ma cercai di mantenere la calma, continuando a ignorarlo, anche se il suo tono leggero e quasi provocatorio mi metteva a disagio. Non volevo interagire con lui, non volevo che quella mattinata normale si trasformasse in un altro incubo.

Ma lui sembrava deciso a non lasciarmi in pace.

Decisi di ignorarlo ancora, sperando che capisse il messaggio e se ne andasse. Ma lui non si arrese. Restò lì, appoggiato al bancone, il suo sorriso sicuro e la sua presenza quasi magnetica. Potevo sentire il suo sguardo su di me, insistente, come se stesse cercando di decifrare ogni mio pensiero.

"Dai, non fare così," insistette, con un tono che sembrava voler essere rassicurante, ma che a me suonava soltanto fastidioso. "Non volevo rovinarti la giornata, anzi, speravo di rimediare in qualche modo."

Finalmente, esasperata, alzai lo sguardo e lo fissai. "Senti," dissi, cercando di mantenere la voce ferma, "non ti conosco e non sono interessata a farlo. Grazie per i fiori, ma non servono. Ora, se non ti dispiace, vorrei finire la mia colazione in pace."

Lui rimase un attimo in silenzio, sorpreso dalla mia franchezza, ma poi il sorriso tornò lentamente sulle sue labbra. "Capito, come vuoi," rispose, alzando le mani in segno di resa. "Non volevo disturbarti"

Si allontanò infine, lasciandomi sola al bancone. Eppure, anche se mi aveva finalmente lasciato in pace, non riuscivo a togliermi dalla mente la sensazione di aver iniziato qualcosa che non sarebbe stato facile ignorare.

Proprio quando pensavo che la situazione fosse finita lì, lui si fermò a metà strada, come se avesse dimenticato qualcosa. Tornò sui suoi passi e mi guardò dritto negli occhi, allungando una mano verso di me. "Scusa, non mi sono nemmeno presentato," disse con un'espressione più seria. "Mi chiamo Jaxon, Jaxon Reid."

Nonostante la mia riluttanza a interagire con lui, mi sentii in qualche modo obbligata a stringergli la mano, se non altro per cortesia. "Trisha." risposi, cercando di mantenere un tono neutro mentre gli stringevo la mano brevemente.

Jaxon annuì, il suo sorriso tornando più morbido. "Piacere di conoscerti, Trisha." Con un ultimo sguardo, si allontanò finalmente per continuare a lavorare.

Rimasi lì, fissando il punto dove Jaxon si era appena trovato, con la sua presenza che aleggiava ancora nell'aria. Non sapevo cosa pensare. Era chiaro che non sarebbe stato facile ignorarlo, come avevo sperato inizialmente. E, per qualche motivo, il suo nome continuava a risuonare nella mia mente, lasciandomi con una strana sensazione che questa non sarebbe stata l'ultima volta che i nostri cammini si sarebbero incrociati.

Dopo che Jaxon si allontanò, mi sforzai di concentrarmi di nuovo sulla mia colazione, ma la mia mente continuava a tornare a lui. Cosa c'era in quell'uomo che mi rendeva così nervosa? Non era solo l'incidente con il caffè o il fatto che avesse iniziato a lavorare nella mia pasticceria preferita. C'era qualcosa di più, qualcosa che non riuscivo a identificare ma che mi teneva inquieta.

Finita la ciambella, mi accorsi di aver perso completamente la cognizione del tempo. Era ora di andare al lavoro. Mi alzai in fretta, sistemando il piatto vuoto e la tazza sul bancone. Carlo mi osservava da lontano con un sorriso, come se sapesse che avevo bisogno di un po' di sostegno.

"Allora, tutto bene?" chiese Carlo con tono gentile, mentre mi restituiva un cenno d'assenso quando gli lasciai i soldi sul bancone.

"Sì, tutto bene," risposi, cercando di suonare convincente. "Solo una mattinata un po'... particolare."

Carlo annuì, non facendo altre domande. Sapeva quando non insistere e lo apprezzavo per questo.

"Ci vediamo domani, Trisha," disse mentre mi avviavo verso la porta.

"Ci vediamo domani, Carlo," risposi, cercando di forzare un sorriso. Ma appena uscita dalla pasticceria, il mio sorriso svanì.

Mentre camminavo verso l'ufficio, i pensieri continuavano a turbinare nella mia mente. Chi era davvero Jaxon Reid? E perché mi sentivo così sconvolta da un incontro che, in altre circostanze, avrei semplicemente dimenticato? Era solo un uomo con cui avevo avuto un piccolo incidente, eppure ogni fibra del mio essere sembrava in allerta.

Non volevo ammetterlo a me stessa, ma sapevo che dovevo scoprire di più su di lui. C'era qualcosa in Jaxon che non riuscivo a ignorare, qualcosa che mi faceva sentire che questo incontro non era stato affatto casuale.

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Il nome "Jaxon Reid" comparve sullo schermo del mio laptop. Avevo deciso di fare una rapida ricerca su di lui, sperando di scoprire qualcosa di più su questo uomo che non riuscivo a togliermi dalla testa. Cliccai su uno dei risultati e mi ritrovai a guardare una vecchia foto. Mostrava un giovane Jaxon accanto a un uomo e una donna che, a giudicare dalle somiglianze, dovevano essere i suoi genitori.

Qualcosa in quella foto mi colpì subito. Non sembravano felici, anzi, l'immagine emanava una sensazione di distacco, come se fosse stata scattata per pura formalità, più un obbligo che un momento familiare da ricordare. Jaxon, anche se più giovane, aveva la stessa espressione enigmatica che avevo visto quella mattina. I suoi genitori, invece, apparivano rigidi, come se fossero scolpiti nella pietra.

Mentre fissavo l'immagine, un pensiero mi attraversò la mente. Reid... quel cognome mi sembrava così familiare. C'era qualcosa di importante legato a quel nome, ma non riuscivo a metterci a fuoco. Continuai a scorrere la pagina, cercando altri indizi, ma l'immagine di quella famiglia infelice continuava a ossessionarmi. Chi erano davvero i Reid? E perché Jaxon era finito a lavorare in una piccola pasticceria di quartiere, quando tutto in lui sembrava indicare che veniva da un ambiente completamente diverso?

Chiusi il laptop, frustrata dal fatto di non riuscire a collegare i puntini. Avevo la sensazione che ci fosse una storia molto più grande dietro quel nome, qualcosa che mi sfuggiva ma che avrei dovuto scoprire. Jaxon Reid non era un semplice sconosciuto. Il suo cognome mi rimbombava nella mente, come un'eco lontana che chiedeva di essere ascoltata.

Forse era solo un'idea mia, un tentativo di trovare connessioni dove non ce n'erano. Eppure, non potevo ignorare quella sensazione. Dovevo scoprire di più, dovevo capire chi fosse davvero Jaxon Reid e perché il suo nome risuonava così forte dentro di me.

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