Un matrimonio a senso unico

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Al ritorno dal viaggio di nozze, Francesco ed io iniziammo la nostra vita da sposati. Vivevamo a Pontevecchio di Magenta, in una casa che suo padre aveva comprato dal mio ad un prezzo di favore, la stessa villa dove avevo conosciuto mio marito per la prima volta.

Avevamo scelto di sposarci in regime di separazione dei beni non soltanto perché me l'aveva sempre consigliato mio padre ma anche perché mi bastavano le esperienze indirette di altre famiglie che avevo conosciuto ed ero convinta che fosse la forma più adatta a tutelare davvero entrambi i coniugi dal mondo esterno.

Cominciammo la nostra nuova vita insieme con entusiasmo. Lui andava a lavorare tutte le mattine nell'ufficio di suo padre mentre io andavo spesso dai miei per discutere con mio padre di progetti futuri.

Mio padre era una fucina di idee e la famiglia per lui rappresentava il luogo in cui affinarle.

La vita con Francesco scorreva tranquilla. Mio marito era affabile e gentile e passare il tempo assieme in una dimensione domestica era davvero piacevole ma c'era qualcosa di lui che mi turbava.

Nei primi due mesi del nostro matrimonio cominciai a notare in lui alcuni comportamenti che non riuscivo a decifrare.

L'avevo spesso visto restare a lungo davanti al lavandino del bagno e con l'aria assente insaponarsi le mani per poi lasciar scivolare il sapone, riprenderlo e ricominciare da capo a lavarsi le mani.

Ripeteva quest'azione innumerevoli volte.

Ero preoccupata e cominciai ad osservarlo più attentamente. Scoprii che poteva rimanere anche mezz'ora davanti allo specchio con il sapone in mano e l'acqua che scorreva. In quei momenti sembrava completamente assente.

Altre volte invece, si bloccava nell'atto di entrare in una stanza aprendo e chiudendo ripetutamente la porta.

Capitò anche che una volta, mentre eravamo in macchina e guidava lui, superato un semaforo, ci trovammo di fronte a una rotonda e Francesco, invece di svoltare per la strada che avremmo dovuto prendere, continuò a girare intorno alla rotonda. Quando, dopo due giri in tondo, glielo feci notare, balbettò qualcosa e ritornò in sé. Lì per lì non dissi niente ma una volta tornati a casa decisi di affrontare l'argomento. Gli dissi chiaramente di aver notato la stranezza di alcuni suoi comportamenti. Gli chiesi anche il perché ripetesse così spesso alcuni gesti, come faceva con il sapone e con le porte. Volevo sapere se in quei momenti fosse presente a sé stesso.

Lui cercò di rassicurarmi dicendo che per lui si trattava soltanto di abitudini ma mi disse anche che quelle abitudini gli erano necessarie.

Era convinto che, quando iniziava un'azione con un pensiero negativo o con una brutta premonizione in testa, quegli eventi negativi che aveva pensato si sarebbero avverati. Per non farli avverare era costretto a ripetere quell'azione finché non fosse riuscito a compierla con pensieri positivi.

Per me la sua spiegazione non aveva molto senso ma provai comunque ad accettarla. Nella mia ingenuità e nel desiderio di vedere sempre il buono delle cose, pensai anche che potesse trattarsi di una superstizione occidentale che io non conoscevo.

Decisi di andare avanti ma con il tempo, purtroppo, quelle stranezze si moltiplicarono e capii che aveva dei problemi.

Realizzai che era sempre stato così ma che io non me ne ero mai accorta. Vivere sotto lo stesso tetto gli aveva soltanto impedito di nascondermi dei comportamenti che già aveva quando eravamo fidanzati.

Neanche i suoi genitori mi avevano mai detto niente. Né sua sorella, con la quale avevo abbastanza confidenza, mi aveva mai parlato di queste particolarità del fratello. Dopo due mesi di matrimonio, mi sentivo tradita da tutti, non solo da lui.

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