In balia delle onde

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Arrivò l'estate del 2014 ed io sentivo che con Francesco avevo già speso tutte le mie energie. Dovevo agire subito. Così, una settimana prima del compleanno di Noemi decisi di affrontare l'argomento della nostra separazione con le bambine.

Noemi aveva già dieci anni e Angelina ne aveva quasi sei: erano grandi abbastanza per capire ciò che stava accadendo nella loro famiglia e soprattutto meritavano di non essere escluse da una decisione che le riguardava tanto da vicino.

Non era facile ma sentivo che non potevo affrontare quel passo della mia vita senza coinvolgere coloro con le quali avrei dovuto compierlo.

Desideravo dar loro la notizia nel modo più indolore possibile e scelsi di farlo in un momento in cui eravamo tutti insieme, riuniti in luogo neutro. Alla presenza di tutti e due i genitori, se ne avessero sentito il bisogno, Noemi e Angelina avrebbero potuto fare delle domande.

Scelsi un ristorante carino in cui eravamo andati a mangiare spesso. Pensavo che in quell'occasione informale avremmo potuto confrontarci più serenamente e che un posto pubblico avrebbe potuto evitare a Francesco le situazioni di estraniamento che gli capitavano a casa.

Quella sera, le bimbe ed io andammo al ristorante e ci sedemmo ad aspettare lui, che avrebbe dovuto raggiungerci pochi minuti dopo.

Passò un quarto d'ora. Le bambine cominciarono già ad avvertire la fame ed io a temere che Francesco si fosse perso da qualche parte.

Lo chiamai e mi disse che stava arrivando.

Chiesi alle bambine, che nel frattempo avevano finito di mangiare tutti i grissini, di pazientare ancora un po'.

Aspettai un altro quarto d'ora e poi lo richiamai altre tre volte ma lui mi rispondeva sempre che stava arrivando, allora ordinammo le nostre pizze e cominciammo a mangiare.

Terminammo la nostra cena, ma di Francesco non vedemmo nemmeno l'ombra, così dovetti spiegare da sola alle bambine che i loro genitori non potevano più vivere insieme e che presto si sarebbero separati.

Cercai di parlar loro in maniera del tutto trasparente, senza nascondere nulla e senza minimizzare una situazione della quale anch'io sentivo il grande peso. Ero consapevole che per loro si sarebbe trattato di un grande cambiamento e mi sentivo in dovere di prepararle. Nello stesso tempo, mi sentivo male pensando al dolore che avrebbero provato a quella notizia. A quell'età, non potevano certo comprendere appieno le dinamiche di un avvenimento simile.

Le rassicurai sul fatto che saremmo comunque rimasti una famiglia e che loro avrebbero continuato a vederci entrambi, semplicemente in un modo diverso. Spiegai loro bene che separarsi non voleva dire non vedersi più e soprattutto che non voleva dire che qualcuno di noi avesse sbagliato o fosse colpevole. Non potevo permettere che colpevolizzassero il padre per la sua malattia comportamentale, anche se questa era la causa principale della nostra separazione. E, ricordando quanto facilmente da bambina mi capitasse di sentirmi colpevole per tutto ciò che mi succedeva intorno, feci di tutto per evitare che questo accadesse alle mie figlie. Nessuno di noi aveva colpa.

Purtroppo avevo notato che anche loro avevano cominciato a vivere una situazione di tensione in casa dimostrando sempre meno pazienza quando Francesco aveva le sue crisi. Spiegai dunque per bene alle ragazze che cosa sarebbe successo di lì a poco e loro ascoltarono attentamente, senza fare domande né piangere.

Finita la cena le lasciai da mio fratello in tenuta e andai a cercare Francesco.

Girai invano dalle dieci a mezzanotte senza trovarlo, dopodiché tornai a casa con la speranza che fosse lì ma Francesco non c'era. Continuai a chiamarlo al cellulare ma lui mi rispondeva sempre che stava per tornare. Allora chiamai i carabinieri e spiegai loro la situazione. Il militare di turno mi chiese il numero di telefono di Francesco e mi disse che avrebbero provato a chiamarlo loro.

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