-2030- Da qualche parte nella pianura padana

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 -2030-

Da qualche parte nella pianura padana

Cominciò proprio quel giorno.

Quel giorno in cui furono stabiliti nuovi equilibri, in una situazione che di equilibrato non aveva più niente; quel giorno in cui nuove speranze si affacciarono timide a illudere i cuori che sì, forse, ancora si potevano cambiare le cose e l'uomo avrebbe potuto salvarsi.

Quel giorno, uno dei tanti ormai, in cui il caldo torrido, che imperterrito da mesi bruciava la terra, era riuscito a fiaccare anche gli spiriti più ottimisti. I morti, soprattutto anziani debilitati, bambini, adulti già affetti da patologie severe, non si contavano più.

Alcune zone del mondo subivano più di altre quella situazione. Gli incendi stavano devastando le foreste del pianeta, gli animali morivano bruciati o asfissiati e quelli sopravvissuti erano condannati a morire di sete e di fame. I ghiacciai avevano cominciato a sciogliersi, i deserti a raffreddarsi al punto che nevicava sul sahara, mentre in tutta Europa il calore eccessivo non permetteva di uscire di casa come se la terra fosse percorsa da una immensa colata lavica.

Le persone che ancora riuscivano a sopravvivere per lo più vivevano in campagna ed erano contadini e allevatori i quali, almeno, riuscivano ancora a produrre qualcosa da mangiare, finché l'acqua non finì e il calore non divenne insopportabile, finché le escursioni termiche giornaliere non raggiunsero i massimi valori, finché i governi non caddero l'uno dopo l'altro come vecchie sequoie abbattute, finché non esplose il caos.

E pensare che solo dieci anni prima il mondo aveva vinto la battaglia contro un virus letale che avrebbe potuto cancellare la razza umana per sempre! E invece, oggi, ecco che di nuovo l'umanità combatteva per la sopravvivenza.

Ma, non erano più il forte calore, il fuoco che stava devastando la terra, l'anarchia totale in cui si viveva, le violenze, gli abusi e i soprusi, la mancanza di cibo e di acqua, a preoccupare Nives. Oggi, stava strappando con le unghie e con i denti la vita, doveva combattere con un nemico più grande di lei: se stessa.

L'unica strada per uscirne con dignità sarebbe stata quella di togliersi la vita.

No, c'era qualcosa di peggio, se possibile, di una catastrofe naturale, che se qualcuno glielo avesse fatto notare solo qualche tempo prima avrebbe scosso la testa in segno di dissenso: ed era l'ignoto! Quel qualcosa che strisciava nel buio e incuteva un timore assurdo. Qualcosa che non poteva controllare, qualcosa che sapeva di animale, che puzzava come un animale, sebbene lei amasse le sue mucche, le capre, i maiali, che di certo non emanano un buon odore, ma quell'odore non era naturale, ed era l'odore della morte quando non si accontenta della tua resa e basta, ma ti tortura, solo per il piacere di farlo.

Non furono gli animali né gli uomini stessi a terrorizzare le persone come lei, le poche rimaste in vita dopo l'ultima escursione termica in cui la notte portò con sé la più bassa delle temperature mai registrate a quelle latitudini: meno sessanta gradi centigradi, sembrava di stare nel villaggio russo di Ojmjakon. Molti, presi alla sprovvista, non passarono la notte indenni, gli altri morirono a poco a poco mentre le notti cristallizzavano tutto nella loro morsa gelida e i giorni esplodevano tra le fiamme succhiando tutti i liquidi possibili, tutti quelli che l'afa trovava sulla sua strada.

Non c'era più legna, acqua, cibo, energia elettrica, combustibili. Gli uomini furono costretti a spostarsi di continuo e a depredare chiunque incontrassero, rubavano negli appartamenti cittadini e assaltavano fattorie isolate; in città vennero formate delle ronde di sicurezza per proteggersi dagli sciacalli ma divennero essi stessi dei predatori.

Il caos regnava su tutto, l'imperativo era: vivere o morire. Si moriva di fame, sete, stenti, malattie sconosciute e anche per una banale influenza perché non si producevano più medicine. Non esisteva più niente per cui combattere, nemmeno la speranza. Ma questo non fu sufficiente a fermarli, l'umanità si aggrappava alla vita come il muschio agli scogli finché non arrivò Malum Gemina. Cosa o chi fosse non si sapeva, l'unica certezza era la sua ferocia che non risparmiava nessuno.

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 Nives si passò una mano lercia sugli occhi come se potesse, con quel gesto, scacciare i ricordi, con l'altra si portò la brocca alle labbra secche, sanguinanti, e bevve l'ultima goccia della sua urina. Poi, dopo essersi accertata che l'arma era carica la impugnò saldamente e si lasciò scivolare contro la parete della cantina, l'unica parte della casa rimasta indenne e di questo doveva ringraziare il marito che l'aveva voluta costruire interrata. Si tolse la canotta lacera per appoggiarsi con la schiena nuda al muro di tufo per approfittare di un barlume di frescura.

Nives si concesse qualche secondo per ripensare al figlio maggiore partito per l'antartide, e del quale non aveva più notizie. D'altra parte il mondo così come lo avevano sempre conosciuto non esisteva più. Sperò che stesse bene, che se la fosse cavata, almeno lui.

Stese le gambe nude sul pavimento per cercare sollievo dal calore, le caviglie erano gonfie e tumefatte. Si augurò di riuscire a dormire qualche ora, prima del calare della notte. C'era solo un piccolo lasso di tempo per riposare, tra le diciassette e le ventuno, quando da cinquanta gradi la temperatura cominciava a scendere fino a raggiungere un grado, dopo precipitava in pochi minuti.

Durante quelle ore, non solo doveva riposare ma anche procurarsi qualcosa da mangiare, da bere e, se non fosse stata così esausta, magari pensare a un modo, come se non lo avesse già fatto decine di volte, per fuggire da lì.

Il sonno non arrivava e Nives ripercorse, per l'ennesima volta, gli avvenimenti che l'avevano condotta a quel punto, a morire di stenti, lentamente, a maledire se stessa, il suo destino ma non Dio, no, lui cosa c'entrava con questo? Non era stato lui a mandare quella nuova peste. Se c'era qualcuno da incolpare era solo lei, lei che non l'aveva vista arrivare, eppure avrebbe dovuto, lei che non si accorse che cominciò proprio quel giorno l'inizio della fine.

Un sibilo, più forte di una semplice folata di vento, le rizzò i peli delle braccia. Ora non le sarebbe servito un po' di fresco: la schiena le si era congelata per il terrore. Lucida, si disse, devi rimanere lucida e non fare rumore, ma era una rassicurazione che ormai sapeva di stantio, di disco rotto, a forza di ripeterla e non l'aiutava più.

Le mani le sudavano, viscide degli ultimi umori che quel corpo ormai esausto era ancora in grado di rilasciare, tremando si infilò i tre passamontagna di lana, sporchi e rattoppati, che avrebbero dovuto tapparle il naso perché quell'odore, Dio!, quanto era acre e pungente, come il piscio di una iena.

Sono qui! pensò Nives. È troppo presto! Di solito uscivano la sera quando la temperatura raggiungeva meno venti gradi centigradi e stavano in giro tutta la notte a cercare dentro ogni casa, o tra le rovine di queste dopo gli incendi che di giorno si sviluppavano con regolarità, anche se c'era rimasto ben poco da bruciare; esploravano ogni anfratto, guardavano dentro le cave, le cantine, i pozzi, insomma dentro tutto ciò che potesse contenere degli esseri umani.

Eppure, erano loro, Nives ne era certa.

Si assicurò di avere il viso ben coperto, in modo che dalla bocca e dalle narici non uscisse un fiato. Quegli esseri ti sentivano respirare anche se ti trovavi a duecento metri da loro, per questo Nives stava in cantina: le pareti erano isolate acusticamente. La porta era chiusa bene, con due chiavistelli e una sbarra di metallo, inoltre, per essere più tranquilla, aveva ricoperto tutta l'intelaiatura con del nastro adesivo da pacchi, e fra poco sarebbe finito pure quello. Ma, se fossero riusciti in qualche modo a entrare? Si domandò mentre li sentiva strisciare sopra di lei, fermarsi ad annusare l'aria, frugare fra le macerie di quella che era stata la sua bellissima casa, una casa piena di ricordi felici fino a quel giorno maledetto, e che poi fu violata, in tutti i sensi.

Nives accarezzò la pistola, a forza di lisciarla era la cosa più pulita che avesse e brillava nel buio della stanza. Avrebbe combattuto fino all'ultimo o si sarebbe risparmiata tutte le sofferenze?

Malum GeminaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora