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1 gennaio 2005, ospedale S. Agata (Catania)


Aprii gli occhi. Li sgranai appena mi resi conto di essere in ospedale. Per qualche secondo ebbi il dubbio che tutto ciò che era accaduto fosse stato un incubo. Realizzai la verità quando Ursula entrò nella mia stanza. 

La sua espressione in viso ne era la prova. «L'hanno trovata? In che ospedale siamo? Che ora è?», chiesi confusa. 

La donna mi si avvicinò a passo rapido, per scongiurare il peggio. Continuavo a chiedere di mia figlia, e cercavo di staccare le flebo. 

 «Calmati, Ambra, ti prego». Si gettò su di me. 

Con le mani tentò di fermare le mie e nel frattempo chiese aiuto alle infermiere, urlavo con disperazione. «Maledizione, Ursula, dimmi se hanno ritrovato mia figlia o no!», esclamai.

 Lentamente lei si alzò, senza mai lasciare il mio sguardo. Scosse la testa e la chinò, come se non fosse riuscita a fissarmi negli occhi. Tesi il collo, cercando un orologio, ma non ce n'era neanche l'ombra. 

«A stannu ciccannu tutti, a picciridda.* Vedrai che la troveranno, tutto bene andrà, tesoro! Non hanno smesso un attimo. Guarda tu stessa», disse Ursula, e agguantò il telecomando.    

Non potevo credere ai miei occhi, tutte le reti televisive stavano parlando di Asia. 

"Asia Walker, figlia di una siciliana e di un texano, di appena tre anni, è scomparsa la scorsa notte nella provincia di Catania. In compagnia dei genitori e degli amici di famiglia, la piccola stava trascorrendo il capodanno al parco di Casteltrezza ma, subito dopo la mezzanotte, della bambina si sono perse le tracce." 

Alle parole della giornalista seguì una serie di immagini in diretta: le ricerche continuavano senza rallentamenti. 

"Eccoli. Eccoli. Come potete vedere sono arrivati i vigili del fuoco, che si caleranno nel burrone", disse la donna al telegiornale, con un'enfasi tale da dare fastidio a chiunque provasse dolore nel vedere quelle scene. 

 «Non la stanno più cercando viva. Stanno persino pensando che possa essere caduta nel dirupo», sussurrai. 

Una lacrima mi rigò la guancia e mi sentii nuovamente mancare. 

«Salve, sono il dottor Masetti» disse l'uomo in camice che entrò in quel momento. 

Quella voce mi risvegliò. Lui diede uno sguardo veloce alla TV e fece segnale all'infermiera di spegnerla. 

«Signora, dai vari esami abbiamo potuto constatare che lei soffre di iperinsulinemia. Sa di cosa si tratta?» 

 Si aspettava una risposta, ma la mia mente non si concentrò sull'informazione che mi aveva dato. Il dottore aveva teso la mano verso di me, per stringere la mia, sin dal momento in cui si era presentato. Al polso aveva un orologio. Notò il mio silenzio e continuò a spiegare il problema di salute, incurante del fatto che mi fossi accorta dell'orario. 

Erano le cinque del pomeriggio.

 «L'iperinsulinemia risulta spesso asintomatica. L'organismo produce più ormoni per contrastare la resistenza all'insulina. Quando il meccanismo di compensazione non è più sufficiente, si verifica una condizione di ipoglicemia. In altre parole, si va in carenza di glucosio nel sangue ed è ciò che è accaduto a lei, per questo è svenuta.» 

Ero come paralizzata, sentivo le parole del medico, ma ovattate. Non riuscivo a seguirlo, l'unico mio pensiero era mia figlia e quel maledetto dirupo. Fu chiaro anche a lui che non avevo ascoltato nulla, il mio sguardo perso ne era la prova. 

«Quindici ore... Avrà freddo lì sotto, starà in lacrime a chiamarmi, e io sono qui» farfugliai.

Mi sentivo come un uccellino in gabbia. Dovevo essere lì fuori a cercare Asia, invece ero chiusa in una stanza, come incarcerata, trattenuta da una strana malattia, di cui non sapevo nulla, e che non mi importava conoscere. L'uomo aggrottò le sopracciglia, smise di parlare. Seguì il mio sguardo fino a rendersi conto che stavo fissando l'orologio. 

 «Mia figlia manca da quindici ore e lei mi parla di zuccheri?», dissi sconcertata. 

Alzai la voce alle ultime parole. «Signora, nelle sue condizioni è meglio che... Dobbiamo capire a che cosa è dovuto questo problema, e potrebbe essere qualcosa di un po' più grave. Lei deve stare a riposo e soprattutto calma. Sono sicuro che sua figlia verrà ritrovata sana e salva» affermò l'uomo, con l'obiettivo di calmarmi. 

 Non c'era nulla, però, che potesse in quel momento placare la mia disperazione. Il mio angelo era scomparso da ben quindici ore e io ero rinchiusa dentro quelle quattro mura bianche contro la mia volontà. Iniziai di nuovo a dimenarmi e a urlare di farmi uscire. 

 «Devo andare a cercarla», gridavo con tutta la forza che avevo. 

«Dobbiamo sedarla,» ordinò allora lui. Mi sentii bloccata da quattro mani, fu una sensazione orribile. Loro mi tenevano ferma e io cercavo di liberarmi perché di fronte a me vedevo il viso di mia figlia. Fu devastante per me. Cominciai a piangere, chiedevo di non farlo, di non iniettare il calmante perché dovevo uscire subito. Spinsi i due infermieri, chiamati dal dottore, che provavano a bloccarmi. 

Riuscii a liberarmi in un millesimo di secondo. 

Fu in quel momento che tutti si fermarono, interdetti e spaventati, e rimasero a fissarmi. Il dottore riferì a Ursula, con estrema freddezza, che se volevo andarmene bastava che firmassi il foglio delle dimissioni. In pochi minuti riuscii a lasciare la stanza. 

Quando arrivai in sala d'attesa, adiacente all'uscita, un ragazzino accese una radiolina che aveva con sé. 

"Le novità su Asia Walker, la bambina scomparsa a Catania, stanno rimbalzando da una rete all'altra. Pare ci sia un testimone, una commessa di un panificio, a pochi chilometri dal parco, che ha telefonato ai carabinieri. A quanto pare ha riconosciuto la bambina da una foto mandata durante le dirette TV. Afferma, infatti, di averla vista su un'auto scura, in compagnia di una coppia, un'ora dopo la mezzanotte, quando ancora l'esercizio era aperto. La commessa ha notato il veicolo fermo allo stop. La donna se ne ricorda perché, ha ammesso, ha attirato la sua attenzione la stessa piccola. Sembra che Asia battesse i palmi sul vetro e che in quel momento stesse piangendo." 

Notai una televisione dietro il bancone dell'accettazione e una donna al bancone che leggeva un giornalino. Corsi verso di lei e la pregai di accendere la TV. Afferrò il telecomando e lo portò all'altezza della spalla. Con aria infastidita, premette un pulsante, senza neanche voltarsi verso l'apparecchio. 

"La testimone ha parlato di un dolcevita arancione e dei capelli biondi, legati in due codine. Il padre ci ha appena detto che Asia portava proprio un maglione arancione nascosto dal cappotto. Quindi ci potrebbe essere una sorta di veridicità in ciò che ha detto la testimone. Le forze dell'ordine stanno ancora parlando con la commessa, che secondo indiscrezioni, ha chiesto di poter incontrare la madre della bambina, ancora ricoverata." 

Non riuscivo più ad ascoltare, dovevo di corsa andare da quella donna, o sarei diventata pazza. 

Ma l'ultima frase della cronista fu agghiacciante: "I carabinieri cominciano a non escludere la pista del rapimento."




*La stanno cercando tutti, la bambina.

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