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1 gennaio 2005, Parco Casteltrezza (Catania) - ore 19:00 

«No, no, no. Dove sono le forze dell'ordine? perché sono rimasti solo i volontari a cercare mia figlia?», chiesi con voce disperata al maresciallo. 

Mi venne incontro a passo spedito, tese le mani per fermarmi. «Signora, la prego, si calmi. Ambra... posso chiamarla così?», disse con estrema tenerezza per rendermi meno nervosa. Annuii. «Stiamo facendo di tutto per ritrovare Asia. Sono arrivate tantissime segnalazioni e tutte vagliate vanno. Parte dei carabinieri è impegnata a controllare i video che abbiamo a disposizione grazie alla videosorveglianza della strada principale, altri stanno interrogando chi dice di aver visto o sentito qualcosa. Per la bambina stiamo lavorando, ma qui ci sarà sempre qualcuno che continuerà a cercare perché le piste non vanno mai abbandonate». 

La voce calda e premurosa dell'uomo mi diede per qualche secondo una sensazione di sollievo. Ma non bastò per eliminare l'implacabile ansia che mi schiacciava. 

«Come si chiama?», chiesi dopo un lungo sospiro. 

«Andrea Salomone», rispose. 

 «Maresciallo Salomone... Andrea, lei ha figli?» L'uomo annuì. «Se fosse accaduto a lei, a uno dei suoi figli, avrebbe voluto che qualcuno gli dicesse la verità?» domandai. 

 Poggiai i miei palmi sulle sue mani. Continuò ad annuire. Poi chinò il viso, sospirò. «Una chiazza di sangue hanno trovato. Un'ora fa, non molto distante dal panificio in cui la testimone sembra aver visto Asia. La stiamo facendo analizzare, non si sa ancora nulla, ma tutto fa pensare che non si trovi più nel parco, la bambina», spiegò. 

Portò una mano sulla mia guancia, come se mi avesse voluto proteggere da una mia brusca reazione.

Sangue. 

Quale peggior parola potevo sentire? Ogni pensiero che facevo mi spingeva alla follia. Finalmente riuscii a respirare. 

Chiusi gli occhi e cominciai a farfugliare: «Quel sangue non è suo, lei è viva, lo so, me lo sento. Posso parlare con la dipendente del panificio?», balbettai. 

L'uomo aggrottò le sopracciglia. Portò lo sguardo su Ursula, che continuava a starmi accanto senza mai allontanarsi. La donna gli fece cenno di assecondarmi. «Va bene, i carabinieri la stanno ancora interrogando. Sarà mia premura portarla da lei appena finiscono», accettò l'uomo, e si congedò dalle due. Alzò la visiera del cappello come segno di saluto e concluse: «Con gentilezza glielo chiedo: a Maiella deve rientrare e aspettare nostre notizie, va bene Ambra?» 

Scossi la testa con fare confuso. 

«Amore mio!», urlò Zack, correva con pesantezza verso di me. 

Mi si gettò addosso. Le sue braccia penzolanti e stanche mi fecero barcollare. 

 «Oh mio Dio, cosa hai fatto? È fango quello che vedo dalla vita in giù?», chiesi sconvolta. 

 «Qui non c'è. So che è un'area vastissima, ma non c'è. Ho cercato anche io nel dirupo. Terra e acqua piovana hanno reso quella zona impraticabile. Forse in un certo senso lo spero pure, che non si trovi qui, perché finché è così c'è speranza che sia... che sia viva», balbettò in lacrime.

Tornò ad abbracciarmi e io ricambiai il gesto d'affetto. Asciugai il viso con un fazzoletto. 

«Tu e Ursula tornate a casa», sussurrai. 

«Cosa?», chiese lui incredulo. 

«No!», esclamò la donna con impeto. 

«I bambini hanno bisogno di te» la pregai con quel minimo di forza che mi restava, ma non riuscii a farlo con Zack. 

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