Scadenza

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"So di essere mortale. Mi sento mortale. Sento la fine, una scadenza che incombe."

Come posso descrivere il crollo dell'illusione di un'esistenza eterna, quando fino a poco fa l'idea della fine sembrava così lontana, così irreale?

Ora, invece, tutto dentro di me urla che finirà.

Che quella persona che ho davanti potrebbe essere l'ultima volta che la vedo, che quel luogo potrebbe essere l'ultima volta che ci metto piede. E non è un pensiero astratto, ma un ricordo di me vivo, che rimbomba dentro di me come il tamburo di una battaglia. Nei momenti in cui sono più consapevole di me stesso, quella verità si fa martellante, inarrestabile. Il tempo ha cominciato a pesare. Non solo il mio ma anche di chi mi dedica il suo tempo. Mi sta offrendo il dono più prezioso.

Penso al Buddha. Spesso banalizziamo la sua esperienza: lui, cresciuto in un mondo dove non esistevano la malattia, la vecchiaia e la morte. Scoprire quelle verità deve averlo sconvolto.

Ma io no. Fin da piccolo, la morte era una presenza costante, sempre lì, sullo sfondo della vita di tutti i giorni.
I nonni sono morti, i cattivi nei cartoni animati sono morti, chiunque mi stia attorno, prima o poi, morirà. E così, poco alla volta, questa consapevolezza mi è stata iniettata, a volte attraverso la vita reale, a volte attraverso storie di finzione. Alla fine, mi sono anestetizzato. Non perché la morte mi sia stata presentata a piccole dosi, ma perché mi sono abituato. Sapevo che sarei finito, prima o poi, ma è solo un pensiero, qualcosa di distante. Non la sentivo veramente finché non ho perso qualcuno di vicino, qualcuno che amavo.

Solo allora ho sperimentato la verità della morte. E quando mi confronto con essa, è come un buco nero, una forza inarrestabile contro la quale tutto dentro di me resiste, per paura. Paura pura e semplice.

Tra la realtà di ciò che è e la mia capacità di accettarla, c'è la mia mente. La mia psiche, che rifiuta di accogliere questa verità, che cerca di cambiarla, di allontanarla, di negarla. Dentro di me, è come se esistessero organi psicologici, progettati appositamente per respingere questa consapevolezza.
E così sogno, mi illudo, mi mento. Il semplice atto di distogliere l'attenzione dalla temporalità finita di questo momento è illusorio. È illusorio pensare che ciò che esiste adesso esisterà ancora domani. Le persone attorno a me invecchiano, ma si sentono sempre bambine. Non in quel modo positivo di cui spesso si parla, ma semplicemente perché la vita è accaduta. Il corpo è invecchiato, e ti ritrovi solo, pronto a morire.

Spesso confondo il vivere con il fare progetti, con il sognare, con il tentare di riempire il vuoto lasciato dall'incessante scorrere del tempo. È così attorno a me, è così dentro di me.

Ho perso i miei genitori, sono figlio unico, ho scelto di non sposarmi, di non avere figli.
La mia vita, persino esternamente, racconta questa storia di scadenza.
Forse chi ha progetti che vanno oltre se stesso vive diversamente. Come se la loro vita potesse continuare attraverso le generazioni future. Ma non io. Non i miei cari.
Quello che finisce probabilmente ricomincerà altrove, in un modo che non mi riguarda.

Io mi spegnerò. E la cosa più sconvolgente è che tutto questo è normale.

Succede continuamente intorno a me.

Gli alberi muoiono, gli animali giacciono morti sul ciglio della strada.
Leggo notizie di persone che non ci sono più.
Ma oltre alla morte che vedo, c'è tutta quella morte che mi sfugge, che avviene in silenzio attorno a me, ogni momento.
Non mi accorgo di quando nel prato muoiono fili d'erba, né degli insetti che schiaccio sotto i piedi mentre cammino. Non vedo tutto ciò che muore, troppo piccolo o semplicemente troppo lontano da percepire.

È tutto così fragile. Ogni singolo momento, ogni singola vita, si consuma inesorabilmente, spesso senza che me ne renda conto. Cammino attraverso questo mondo, sfiorando la morte con leggerezza, senza accorgermi di quante volte l'ho già incontrata lungo il mio cammino.

Eppure, il pensiero che tutto questo sia normale non mi dà pace. Forse è proprio questa normalità a essere il mio tormento più grande. Forse il vero problema è che io, come chiunque altro, mi sono abituato a ignorarla.

Ma non posso più farlo. Non ora che ho sentito l'urlo della fine dentro di me. Eppure, continuo a camminare, consapevole che il mio tempo si consuma, e che tutto ciò che posso fare è proseguire... verso la mia scadenza.

GLI ULTIMI A MORIREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora