Viola (sinfonia di un assurdo quotidiano)

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8 febbraio 2006.

Mi sono alzata presto. La casa è fredda ed è ancora buio. Decido di accendere il caminetto.

Non lo faccio per scaldare la casa. Se anche diventasse un blocco di ghiaccio non potrebbe congelarmi più di quanto io non sia già morta dentro.

Resto incantata a guardare le fiamme, come sempre. Chissà se esistono davvero, le Fenici. Chissà se davvero muoiono consumate dalla loro stessa fiamma e poi rinascono, pronte per vivere di nuovo.

Chissà se sono una Fenice anche io. Magari sono una Falena. Le fiamme mi consumano, ma non rinascerò mai. Il mondo dimenticherà il fatto trascurabile che, da qualche parte, io c'ero. Che ho vissuto, amato, sofferto, creato, pianto, riso. Una goccia minuscola che viene annientata dal calore del fuoco.

Evapora.

Mi alzo e apro il cassetto del mobile, quello dove tengo i miei diari. Pagine e pagine di parole che ho lasciato su carta, come polvere caduta dalle ali. Li prendo e torno a sedermi accanto al caminetto.

Ogni persona racchiude in sé universi e io non faccio eccezione

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Ogni persona racchiude in sé universi e io non faccio eccezione. Queste pagine contengono tutto ciò che sono.

Ecco perché devono bruciare.

Prendo il primo quaderno, a caso. Lo apro. Mi rifiuto di leggere le parole che ci sono scritte. Tanto ne conosco bene il sapore.

Dolore e morte.

Strappo la prima pagina e la getto nelle fiamme. Poi la seconda. La terza. Getto l'intero quaderno e lo osservo bruciare. Ha un che di liberatorio.

Faccio lo stesso con gli altri quaderni. Ogni parola che brucia è un frammento della mia anima che urla con tutta la sua forza. I miei diari bruciano. Le mie parole bruciano. Il mio dolore brucia.

Io brucio.

Mi alzo e prendo la valigia, l'unica che ho. Un vestito mio, gli altri di mia figlia. Tutto quello che ci serve.

La sveglio delicatamente, facendole segno di fare piano. Zero rumori. Non dobbiamo lasciare il segno.

Usciamo di casa. Il cielo è rosato, la giornata sta iniziando.

"Dove andiamo, mamma?"

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"Dove andiamo, mamma?"

"Andiamo dai nonni, tesoro. Vuoi andare a trovare i nonni?", le chiedo, forzando un sorriso che mascheri quanto io sia terrorizzata.

Lei fa sì con la sua testolina. Stacco il palloncino che avevamo attaccato al cancelletto e glielo do.

Lei sorride. Facciamo qualche passo e poi parla ancora, con la sua vocetta sottile.

"Sono felice che ce ne andiamo, mamma, così papà la smette di farti male."


Viola (sinfonia di un assurdo quotidiano)

Le parole urlano stanotte.
Raccontano storie di ghiaccio
ad angoli nascosti nel silenzio.
E' l'apparenza la padrona
la falsa maschera di sorrisi
che mi costringo a indossare.
Non capirebbero, non capiscono.
Parlano di me, della mia vita
colorando con versi sapienti
la mia splendida tragedia.
Ma io non vedo le loro mani.

(E se un giorno qualcuno saprà vedere
scoprirà il segreto dei miei occhi neri)

Le parole urlano stanotte.
E' la faccia nascosta della verità
a esplodere nel buio spento
della Vita, uccisa, strappata.
"Sono caduta, non è stato lui"
e intanto con gli occhi cerco
la comprensione di segreti mai detti.
Avvicinano la lente al viso,
è fatta di speranze uccise dal dolore.
Mi osservano. Ma non vedono ME.
Dipingo di viola l'Anima,
sorridendo nello sguardo camuffato.

(Che sia viola anch'essa come
la pelle dopo il tuo passaggio)

(Che sia viola anch'essa comela pelle dopo il tuo passaggio)

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Spazio autrice

Ho pensato molto prima di inserire questo capitolo. Ma questa, sebbene scomposta e folle, come tutto ciò che mi contraddistingue, è la mia storia. E non sarei onesta se non la raccontassi fino in fondo, con tutti i colori che la compongono. 

La poesia è stata scritta nel 2009, tre anni dopo quel mattino. 

Mi aveva sempre detto che io, senza di lui, sarei morta. 

Aveva ragione. Sono morta quella mattina, e sono rinata. 

Non ero una Falena. 

Non ero nemmeno una Fenice.

Ormai lo sapete: sono un Drago. 


Forse (Il Caos nella Mente)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora