CAPITOLO 2: STEPHAN

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È assurdo come la vita possa essere talmente imprevedibile dal catapultarti, da un giorno all'altro, da un'aula universitaria ad un campo di battaglia, dove le ore del giorno vengono scandite dal suonare delle sentinelle e dove ogni minuto che passa, potrebbe essere l'ultimo.
Sin da bambino sono sempre stato una testa calda, la mia impulsività ha preso il controllo della mia vita e delle mie azioni innumerevoli volte e questo non sempre è stato un bene. Le punizioni dei miei erano sempre molto severe ma poco mi importava se ciò che avevo voglia di fare, andava contro il loro volere. Durante l'adolescenza raggiunsi l'apice della libertà, mi sentivo come un cavallo galoppante nel bel mezzo di un'infinita distesa di prato verde ed è ciò che le persone iniziarono a vedere in me, un'anima libera da ogni regola, da ogni giudizio: il mio soprannome divenne Spirit.
Da un anno sono iscritto alla facoltà di lettere; è l'unica materia che, sin dall'epoca della scuola, non ha mai smesso di interessarmi: la capacità critica, la voglia di pensare e creare storie, la capacità di argomentare e arrivare ad una conclusione; credevo fosse la forma di libertà più pura e vera che ci potesse essere.
Quando Hitler si insinuò negli organi politici della Germania, il mio paese cambiò e con lui anche il mio destino: nel 1926, prese vita la cosiddetta Gioventù Hitleriana, un'organizzazione nata apposta per preparare i giovani a servire le forze armate, attraverso un addestramento militare e paramilitare. All'epoca era solo un ragazzino, ignorante della politica e di tutto ciò che questa potesse implicare; di ciò che la crudeltà umana potesse essere in grado di fare, ignorante della banalità del male.
Come molti altri ragazzi, anch'io venni obbligato a far parte di questa organizzazione, nonostante i miei fossero completamenti contrari; ricordo ancora le lacrime di mia madre e il volto afflitto di mio padre ogni qual volta vedevano il loro ragazzo, uno spirito libero, trasformarsi in una marionetta nelle mani di un burattinaio molto più grande e forte di lui. Però, per quanto odiassi prendere ordini, adoravo combattere, adoravo impugnare armi e fucili, sparare ai manichini e vantarmi del fatto che nessun altro soldato avesse la mia mira e la mia precisione.
Allo scoppio della guerra venni arruolato nell'esercito ufficiale tedesco nonostante la mia giovane età, avevo iniziato l'università da poco e seppur odiassi abbandonare ciò che amavo, sentivo che era un mio dovere proteggere il posto che mi aveva accolto sin dalla nascita, inconsapevole però che la nazione che tanto amavo, presto sarebbe stata la causa della morte di milioni di innocenti.
Sono passati tre anni da allora e per quanto dura possa essere la vita nelle trincee, devo dire che non ci si annoia mai.
La mia mira è migliorata ulteriormente, così come le mie capacità nel maneggiare armi di diversa portata. Molti nemici sono caduti per mano mia e altri ne cadranno ancora.
"Stephan"
Sento chiamare il mio nome e questo mi porta a girarmi ad una velocità tale che sento i muscoli del collo stendersi improvvisamente: è Josh, uno dei ragazzi che ho conosciuto ai tempi dell'organizzazione, un ragazzo moro, con gli occhi chiari, imponente e dall'aria ostile ma con un cuore tenero, tanto che il più delle volte mi chiedo cosa ci faccia qui.
"Il generale ha stretto una tregua momentanea con l'esercito americano, abbiamo tre giorni di pace"
Non sentivo quella parola da tempo, ormai, avevo quasi dimenticato cosa volesse dire o quando bene potessero suonare quelle lettere messe insieme, l'una accanto all'altra.
"Perfetto, sarà un tempo sufficiente per rimetterci in sesto e schiacciare una volta per tutte gli Stati Uniti"
"Per quello ci sarà tempo, dopo la riunione di oggi in cui verranno decise le nuove strategie, il generale ci ha concesso del tempo libero per ripristinarci fisicamente e mentalmente, stanno cadendo più uomini a causa della pazzia che questo posto genera, che per mano nemica"
Rimasi in silenzio mentre lo vedevo allontanarsi dal luogo in cui dormivamo quelle poche ore, necessarie giusto per non crollare sul campo di battaglia.
La mattina successiva, decisi di svegliarmi prima dei miei compagni, alle prime luci dell'alba; volevo fare un giro fuori dalla trincea e magari dilettarmi con qualche pagina del libro che avevo portato nel bagaglio, prima di partire. Uscì senza troppi problemi e mi diressi in un posto abbastanza lontano dal "quartier generale", in modo che nessuno potesse venire a disturbarmi, ma ahimè, non fui il solo a voler stare da solo quella mattina; in lontananza intravidi un'ombra immobile e nera che sembrava fissasse un punto fisso del cielo, non riuscivo a capire se avesse armi, né di che esercito fosse; mi avvicinai di soppiatto ed estrassi la pistola che avevo portato nella fodera per sicurezza, puntandola dritta alla testa dello sconosciuto
"Rivelati"

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