Capitolo 53

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Tyler

Entrai nella stanza, la luce era accesa e un cartello mi indicò di mettermi le catene. Notai una porta in fondo e provai ad aprirla, ma era bloccata. La maniglia non si muoveva, la serratura era ferma. Sentii il cuore battere forte nel petto, una sensazione di impotenza e terrore che mi avvolgeva.

Mi misi le catene, pesanti e fredde, ogni anello sembrava pesarmi addosso come un macigno. Dopo qualche minuto il mio incubo era appena iniziato. La porta si aprì con un cigolio e mio padre, David, entrò nella stanza. Il suo volto era segnato da rughe profonde, i suoi occhi pieni di disprezzo.

<Ciao, Tyler. È tanto che non ci vediamo>

Ogni parola era intrisa di veleno.

David si guardò indietro e sbuffò innervosito, poi tornò nella stanza da cui era uscito. Sentii dei lamenti familiari, un suono che mi fece gelare il sangue. Ritornò trascinando mia madre, Mary, per i capelli. Lei si ribellava al suo tocco, cercando disperatamente di scappare.

Tentai in tutti i modi di liberarmi da quelle catene, tirando e strattonando con tutte le mie forze. Le catene tintinnavano, ma non si muovevano. Mia madre mi sorrise dolcemente, un sorriso pieno di dolore e amore.

<Tyler, tesoro. Chiudi gli occhi, va bene?> mi chiese.

Una richiesta che mi fece sentire ancora più impotente. Prima che potessi fare qualsiasi cosa, mio padre la colpì con un pugno. Il suo corpo cadde a terra, immobile, il sangue che le usciva dalla bocca.

<Basta! Ti prego, fermati!> gridai, la mia voce spezzata dalla disperazione.

Lui si fermò per un istante, girandosi verso di me con uno sguardo di puro disprezzo. <Non sei altro che un debole, Tyler> sibilò, con la sua voce carica di veleno.

<Non sei mai riuscito a proteggere tua madre, e mai ci riuscirai>

Il dolore riempì ogni fibra del mio essere. Le catene stringevano i miei polsi, mi impedivano di fare qualsiasi cosa per aiutarla. Sentivo la frustrazione crescere dentro di me. Mia madre era a terra, il suo corpo immobile, e io ero impotente, incapace di fare nulla per salvarla.

Il suono delle catene che tintinnavano contro il pavimento era un'eco costante della mia prigionia.

David si avvicinò a me, i suoi occhi freddi come il ghiaccio. <Guarda cosa sei diventato> disse con un sorriso sprezzante. <Un miserabile>

Il mio respiro era affannoso, ogni inalazione una lotta contro il dolore e la rabbia. Mi guardai intorno freneticamente, cercando una via di fuga, qualcosa che potesse aiutarmi a fermare quell'incubo.

Non potevo permettere che continuasse. Con tutte le mie forze, tirai le catene, sentendo i polsi bruciare mentre il metallo scavava nella mia pelle.

<Non sei niente> sussurrai, la mia voce piena di furia.

<Pensi davvero di potermi fermare?> disse, avvicinandosi ancora di più. <Sei sempre stato un fallimento, Tyler>

L'odio verso mio padre cresceva sempre di più, ma non potevo fare nulla. Le catene mi tenevano fermo, ogni anello di metallo pesava come un macigno sul mio corpo. Sentivo il cuore battere forte nel petto, ogni battito era un rintocco di rabbia e disperazione. Il dolore di vedere mia madre soffrire, il ricordo degli anni passati, tutto si mescolava. Sentivo il mondo crollarmi addosso, un peso insopportabile che schiacciava la mia anima. Volevo salvarla, volevo fermarlo, ma ero intrappolato.

Il passato era tornato ancora a perseguitarmi. Ogni urlo di mia madre era un'eco dei tormenti che avevo subito, un promemoria del mio fallimento. Sentivo la mia forza svanire, la mia speranza dissolversi come nebbia al sole. Ero intrappolato in un incubo senza fine, incapace di fare nulla per salvarla.

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