Sembri un incrocio tra un servitore di Thanatos e un panda

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Oggidì
(Parte prima)

23

Mamma?

Grimm la guardò scioccato. Se ne stava lì, immobile, rannicchiata su sé stessa con lo sguardo fisso oltre il vetro. Il suo viso non si muoveva, il suo petto non si muoveva, sembrava aver smesso di respirare.

«Dahna, guardami», le ordinò sottovoce, toccandole un braccio.

Lei non si scompose, sembrava una statua marmorea come le decine che ornavano l'Orfanotrofio dal quale erano appena tornati. Pensò a come doveva sentirsi, a come avrebbe potuto farla rinsavire, e ognuno di quei pensieri terminava sempre allo stesso modo. Doveva toccarla, dargli qualcosa con cui aggrapparsi alla realtà, farla concentrare su di lui, farla scendere da quell'altezza, anche a costo di incassare un pugno in faccia.

Allungò un braccio verso la sua guancia fredda e aumentò leggermente la pressione per farle girare il volto verso il suo, chiudendolo tra le mani. Gli occhi di lei continuarono a restare fissi sulla donna finché non furono forzati a girarsi verso i suoi.
Quando lo guardarono, Grimm ci vide il vuoto dentro.
Era persa, completamente assente.

Cazzo.

Pensò a un milione di modi per portarla via da lì, ma ognuno di essi prevedeva che lei fosse vigile per poter percorrere il tratto di muro rimanente fino a terra. Caricarsela in spalla e tenere in equilibrio sospeso entrambi era impossibile, a quella altezza. Restava una sola cosa da fare e pregò tutti gli Dèi all'ascolto che la donna dentro quella stanza non decidesse di prendere una boccata d'aria proprio in quell'istante.

Tirò fuori l'uniforme sottratta alla giubba ormai in cenere nel caminetto ai piani superiori e iniziò a cambiarsi. Lo fece di fretta, senza mai distogliere lo sguardo da quello di Dahna e pregandola sottovoce di tornare indietro. Lo spaventava. Era pronto alla guerra, era pronto agli insulti e a incassare schiaffi, ma quel vuoto? Non sapeva come gestirlo.

Una volta vestito, prese di nuovo il volto di Dahna tra le mani e parlò lentamente, scandendo bene ogni parola, sperando che una parte di lei fosse ancora con lui per ascoltarlo. «Torno a prenderti tra pochissimo. Resta qui. Non farti vedere, non farti sentire e, ti prego, non entrare in quella stanza. Hai capito?»

Dahna lo fissò immobile, lo sguardo vitreo e vuoto, senza nemmeno un accenno di comprensione. Non era lì e non era lei. Non riusciva nemmeno a immaginare cosa stesse provando, non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato lui se avesse rivisto sua madre dopo orbite di lutto. Le mise la sua giubba sulle spalle e scavalcò il balconcino per scendere a terra.

La stanza della madre di Dahna era al secondo piano della torre, troppo alta per far scendere lei, ma abbastanza bassa da essere raggiungibile con una scala. Peccato che non avesse idea di dove trovarla, una scala.

Fece il giro di ronda seguendo il percorso prestabilito, attento a qualsiasi rumore o spostamento d'ombra. Sapeva che Lazlo teneva due giubbe a guardia del perimetro di notte, ma non le vedeva. L'uniforme gli dava un senso di sicurezza, ma solo temporaneo. Se erano solo due le guardie notturne, una terza, in divisa o meno, avrebbe comunque destato sospetti.

Passando davanti ai giardini, vide una luce provenire dall'ala est del palazzo, ai piedi della torre in cima alla quale era rimasto di vedetta poco prima. Proseguendo a passi leggeri verso quel bagliore, iniziò a sentire delle voci soffuse e intravide la veranda vetrata dei giardinieri di Corte.

Bingo.

Sopra il tetto, le due giubbe erano chine su una botte a giocare a scacchi, ridendo dei fallimenti reciproci e non curandosi di nient'altro. Grimm approfittò di quella distrazione per scivolare furtivo lungo il muro che portava alla veranda e, con estrema lentezza, abbassò la maniglia in ottone.
Poteva sentire i pezzi grossi sulla scacchiera spostarsi e mangiare i poveri pedoni che avevano avuto la faccia tosta di trovarsi sulla loro strada, ma non poteva vederli.

Diefbourg. La città di maschere e bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora