Prologo

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Artis
Sarebbe dovuto essere uno dei giorni più belli della mia infanzia, mentre ora non riesco nemmeno a sentirne parlare.

Palloncini. Giostre. Fuochi d'artificio. Sorrisi. Compleanno. Famiglia. Gioia.

Sarebbe tutto quello che un bambino di dieci anni avrebbe voluto ricordarsi il giorno del suo compleanno.
Ma tutto quello che io riesco a ricordare è l'incubo che mi perseguita ogni notte.

Urla. Lacrime. Polizia. Panico. Occhi addosso di tutti. Tranne i suoi.

21 maggio, 14 anni prima

Guardano tutti le luci che splendono nel cielo, il rumore della polvere che esplode e crea sfumature di colori diverse. Ho sempre amato i fuochi d'artificio il giorno del mio compleanno. I miei occhi sono incollati su di essi per minuti, sento il mio sorriso ingrandirsi ogni volta che ne appare uno nuovo.

Le persone li stanno guardando insieme a me, innamorati anche loro di una delle più belle ma anche peggiori cose che l'uomo abbia mai creato. Alcuni bambini hanno il mio stesso sguardo, altri si tappano le orecchie per il forte rumore.

Chiamo il nome di mia sorella e punto il cielo sopra le nostre teste. La cerco con lo sguardo ma non è più accanto a me come sempre. So che lei non ama i fuochi d'artificio come me, li ha sempre odiati. Anni fa la trovai sotto al tavolo della cucina, piangeva con ginocchia attaccate al petto, mentre le sue mani le coprivano le orecchie cercando di ovattare i forti scoppi.

Alzo lo sguardo cercando i miei genitori. Sono dietro di me, ma solo mio papà guarda i fuochi d'artificio nel cielo. I miei occhi si soffermano su mia mamma, la donna più bella che io conosca, ma è come se non la riconoscessi più. Sul suo viso non c'è più il sorriso che accentua sempre le poche rughe che ha in viso, al contrario, i suoi occhi sono diversi, non li avevo mai visti così aperti. Hanno sfumature che non ho mai visto, più scure, come se con le sue emozioni i suoi occhi cambiassero insieme a loro.

Non sta guardando il cielo come ogni persona intorno a noi, no, lei sta guardando me. Riesco a riconoscere un emozione che ho visto in tanti film in televisione, terrore. Non è solo nei suoi occhi ma in tutto il suo viso. Sposta le iridi tanto velocemente che sento la testa girare. Guarda gli altri bambini, gli edifici intorno a noi, le giostre e infine mio padre.

Una lacrima le riga il viso mentre vedo le sue labbra muoversi e tremare. Capisco che gli sta parlando ma non riesco a sentire nulla per i forti rumori e le risate. Risate che in pochi secondi vengono coperti dalle urla della stessa donna che guardavo con amore.

«Mamma?»la chiamai, picchiettando la sua coscia con la mia piccola mano. «Mamma perché urli?» sentivo gli occhi di tutti addosso a noi, a mia mamma, alla mia famiglia. Una famiglia perfetta agli occhi di tutti, ma non più.

Vedo mio papà digitare un numero sul cellulare, sta chiamando la polizia. «Perché chiamiamo la polizia?»domandai invano, lui era troppo preso dalla chiamata e mia mamma camminava avanti e indietro mentre gli occhi si spostano da un punto all'altro.

La polizia arriva da noi, penso siano passati dieci minuti dalla chiamata di mio papà anche se non ho ancora imparato bene a tenere il tempo da solo. Due poliziotti camminano verso di noi, ma il mio sguardo è sugli altri agenti. Perlustrano tutto il Luna Park, le torce che cercano di illuminare gli angoli più bui.

Guardo i due poliziotti che parlano con i miei genitori, cercano di calmarli mentre mia mamma continua a piangere e mio papà le cinge il fianco con il suo grande braccio. Mi avvicino a loro e sento uscire dalla bocca del poliziotto la frase che mi perseguiterà per anni.

«È scomparsa una bambina di sei anni. È bionda, occhi azzurri. Nessun segno particolare, portava una maglietta rosa e pantaloni di una tonalità diversa. Servono rinforzi per cercarla»

Come ho fatto a non accorgermene?
Ho fallito come fratello.
Mia sorella è scomparsa e io mi sono fatto distrarre troppo facilmente.

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