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Rebecca inciampa nell'acciottolato di fronte alla chiesa del cimitero, il contatto della pelle con il sanpietrino la fa saltare di dolore.

«Come fa a fare ancora così caldo?» chiede. Ha perso la concezione del tempo ed entrambe hanno i cellulari spenti, ma le cinque del pomeriggio sono passate da un pezzo. Hay Ley ha abbassato di nuovo gli occhiali da sole.

«È estate. Qui non è il caldo, ma l'umido che frega. E una volta detta questa frase, tanto vale scavarmi da sola la buca qui dentro».

Rebecca guarda il suo riflesso negli occhiali, sudato e malconcio.

«Non mi amo abbastanza per chiederti di tenere ancora su quei cosi» le dice. Hay Ley li rialza sulla testa e le sorride. Stanno fermi solo perché impigliati nel suo caschetto biondo.

La chiesa è bellissima, in mezzo a un lungo porticato, tutti e due bianchi con righe nere. Hay Ley e Rebecca salgono le scale sotto il rosone.

«Mio padre mi diceva che era ridicolo, portare qui i miei amici».

Rebecca fa fatica a starle dietro, e anche se la scalinata non è lunga ha già il fiatone. Respira profondamente prima di rispondere.

«Io non lo trovo ridicolo».

Rebecca si sorprende, la chiesa non ha un portone, è aperta sul corridoio dei portici.

Il soffitto è dipinto di un blu vivo, già nell'ingresso ci sono diverse tombe. Una, sopraelevata, cattura subito lo sguardo: è quella di Alessandro Manzoni, scrittore.

«Qui ci sono tutte quelle delle persone più famose dei secoli scorsi» commenta Hay Ley, le mani sulle bretelle della salopette. «Importanti per la città. Un giorno ci sarà anche la mia».

Rebecca si guarda attorno, pensosa.

«Non so se ci sarà mai un mondo dove ereggeranno le tombe delle pornoattrici».

Hay Ley inclina la testa.

«Su di me si è masturbata mezza Milano. Vedrai che un'erezione ci sarà di sicuro».

Rebecca scoppia a ridere, timidamente le allunga il pugno sulla spalla. Passeggiano per la parte centrale, poi scelgono di cominciare l'esplorazione dei portici dal lato sinistro. Dal porticato la città sembra più piccola, dal lato opposto il cimitero si estende in un giardino enorme, dietro il quale una processione di case vecchie fanno da contrasto ai grattacieli che si sono lasciate alle spalle.

«Penso sia difficile essere sepolte qua sopra anche se si fa le ingegnere» commenta Hay Ley, indicando una coppia di tombe sotto il parapetto in cui si sono affacciate. Sono di un architetto, 1911-1985, e della moglie, 1917-1999.

«È l'unica donna che ho visto per ora ed è ricordata per essere la moglie di questo tizio».

Rebecca sbuffa. «Guarda che muoiono sia maschi che femmine».

Ma quello che Hay Ley ha detto l'ha colpita. Tornano indietro, in un'iscrizione Rebecca legge che quella non è una chiesa ma si chiama Famedio. Nel percorrere l'altro lato del porticato Rebecca rallenta, fermandosi per controllare ogni nome e professione. Solo alcuni non hanno segnalato il motivo della loro fama, Rebecca appoggia la mano sull'iscrizione di un uomo morto a trent'anni e vissuto sessanta anni fa. Potrebbe morire adesso ed essere sepolta anche lei in un Famedio.

Scendono nel giardino attraverso la scala interna. Non ci sono più sanpietrini, solo un terreno bianco e polveroso. Il profumo dei gelsomini e l'ombra degli alberi danno sollievo a Rebecca, una tregua dall'estate. Lo scrosciare d'acqua della fontanella la spinge al centro della strada principale, dove una signora anziana sta riempiendo un innaffiatoio.

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