{Cap.2}

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Il giorno seguente, tornai al parco, come ormai era diventata la mia abitudine. Avevo passato la notte a rigirarmi nel letto, tormentata da quel breve incontro. Non potevo smettere di pensare a quel ragazzo. La sua espressione curiosa, quasi interrogativa, mi era rimasta impressa. Ero sicura di non aver mai visto quel volto prima, ma c'era qualcosa in lui che mi sembrava familiare.

Mi sedetti di nuovo sulla stessa panchina. Questa volta, però, non aprii subito il quaderno. Mi limitai a guardare il vialetto, come se mi aspettassi che lui apparisse di nuovo, con quello skateboard che sembrava fare da eco al ritmo frenetico dei miei pensieri. Forse non l'avrei più rivisto, forse quel breve scambio era stato solo un altro momento passeggero, una piccola parentesi nella mia routine di solitudine.

Ma il destino, o qualunque fosse la forza che governava la mia vita in quel periodo, aveva altri piani.

Dopo qualche minuto, sentii di nuovo quel suono familiare: lo sferragliare delle ruote sul marciapiede. Alzai lo sguardo e lo vidi. Lui, lo skateboarder, era lì, a una distanza più ravvicinata rispetto al giorno prima. Mi lanciò un’occhiata, poi si fermò, lasciando che lo skateboard scivolasse accanto alla panchina dove mi trovavo.

<<Pensavo che fossi scappata via ieri,>> disse, il tono leggero, ma con una punta di curiosità.

Sorpresa dal suo approccio diretto, mi limitai a scuotere la testa. <<No, solo... avevo fretta.>>

Lui sorrise, un sorriso appena accennato, quasi timido, come se non fosse abituato a questo genere di conversazioni. <<Non volevo disturbarti. Sembravi molto concentrata sul tuo quaderno.>>

Lo guardai, poi abbassai lo sguardo verso il quaderno che avevo tra le mani. <<È solo un modo per mettere in ordine i miei pensieri,>> risposi, quasi sottovoce.

Lui annuì, come se capisse perfettamente ciò che intendevo. <<Anch'io faccio lo stesso, ma con lo skateboard. Quando sfreccio qui, mi sembra di lasciare indietro tutto... anche se solo per qualche minuto.>>

Quelle parole mi colpirono. Era una sensazione che conoscevo bene, quella necessità di fuggire, di trovare un rifugio, anche se temporaneo. Gli sorrisi, un sorriso piccolo, incerto. Forse, dopotutto, non eravamo così diversi.

Passarono alcuni istanti di silenzio. Avrei potuto chiudermi in me stessa come sempre, ma c'era qualcosa in quel ragazzo che mi spingeva a restare. Forse era il fatto che, per la prima volta da molto tempo, qualcuno mi aveva notata.

<<Vieni spesso qui?>> chiese, rompendomi di nuovo i pensieri.

<<Sì,>> risposi. <<È... un posto tranquillo.>>

<<Capisco. Io vengo qui per sfogarmi. Sai, anche la mia testa a volte diventa un caos.>> Fece una pausa, guardando il cielo coperto. <<Dopo che ho iniziato a subire violenze a casa, ho dovuto trovare un modo per non impazzire. Skateboard, musica... cose così.>>

Il suo tono era calmo, ma sentii il peso delle sue parole. Anche lui aveva problemi a casa, la sua storia richiamava la mia attenzione, e in quel momento capii che avevamo qualcosa in comune, anche se non lo conoscevo davvero.

Non risposi subito. Le parole mi si fermarono in gola, troppo pesanti da esprimere. Alla fine, sussurrai solo: <<Anche io ho problemi a casa, ho perso mio padre un pò di tempo fa, mia madre non l'ha presa bene... e ho iniziato ad avere anche io dei problemi.>>

Lui si fermò, mi guardò per un attimo, poi annuì. <<Mi dispiace.>>

Quelle due parole, così semplici e sincere, mi colpirono profondamente. Nessuna delle persone attorno a me, nemmeno mia madre, sembrava più capace di capirmi davvero. Ma questo ragazzo, uno sconosciuto con uno skateboard, era riuscito a toccare qualcosa dentro di me.

Forse, senza nemmeno saperlo, avevamo cominciato a costruire una connessione. Non lo sapevo ancora, ma quell'incontro avrebbe cambiato molte cose.

Più il tempo passava più sentivo una specie di connessione con lui, non lo conoscevo ancora, la sua storia è diversa dalla mia ma c'è qualcosa che ci unisce... anche se non riuscivo a capire cosa.

<<Comunque carino quel quaderno, ci scrivi qualcosa sopra?>>
Il fatto che fosse interessato a me mi faceva sentire apprezzata e anche un pò sorpresa, forse perché nessuno mai si è davvero interessato ai miei hobby, alle mie passioni o a quello che mi piace fare... ma lui si, non c'era miglior sensazione.

<<No, più che altro faccio disegni... disegno qualunque cosa mi passi per la testa pur di sentirmi libera dai miei pensieri.>>
Era la frase più profonda sia mai riuscita a fare in una conversazione, ero sicura che quella frase lo avesse incuriosito.

Lui si sedette sulla panchina accanto a me, mantenendo una certa distanza, ma abbastanza vicino da farmi sentire la sua presenza. Rimase in silenzio per un momento, osservando il quaderno come se cercasse di immaginare cosa ci fosse dentro.

<<Posso vedere uno dei tuoi disegni?>> chiese, con una voce più gentile di quanto mi aspettassi.

Esitai. Non ero abituata a condividere quella parte di me con nessuno, tanto meno con qualcuno che conoscevo appena. I miei disegni erano il riflesso dei miei pensieri più intimi, una fuga dalla realtà che mi circondava. Ma c’era qualcosa nel suo sguardo che mi fece sentire al sicuro, come se non ci fosse giudizio, solo curiosità.

<<Va bene,>> dissi, aprendo il quaderno con mani leggermente tremanti. Scelsi una pagina, un disegno che avevo fatto qualche giorno prima. Rappresentava una figura solitaria, seduta su una panchina sotto un grande albero spoglio, con il vento che sembrava soffiare via le foglie rimaste. L’aria di malinconia che trasmetteva mi ricordava esattamente come mi sentivo in quel periodo.

Lui guardò il disegno per qualche istante, poi annuì lentamente, come se lo capisse senza bisogno di parole.

<<È davvero bello,>> disse piano. <<È... come se rappresentasse qualcosa di più di quello che si vede.>>

Lo fissai, sorpresa. Era come se fosse riuscito a vedere oltre la superficie, a percepire l’emozione che avevo nascosto dietro ogni linea e tratto. Nessuno aveva mai notato quel livello di profondità nei miei disegni. Nessuno si era mai fermato abbastanza a lungo per cercare di capire.

<<Grazie,>> mormorai, sentendo una strana sensazione di sollievo. Non mi sentivo più così sola in quel momento.

Ci fu un altro silenzio, ma questa volta non era imbarazzante. Sembrava che entrambi ci stessimo abituando alla presenza l’uno dell’altra, trovando un qualche tipo di conforto in quel silenzio condiviso.

<<Sai,>> iniziò lui, rompendo il silenzio ancora una volta, <<quando ero più piccolo disegnavo anch'io. Non ero bravo come te, ma mi piaceva. Poi le cose sono diventate complicate e ho smesso.>>

Lo guardai, curiosa. C'era molto di più in lui di quanto avessi immaginato. Ogni suo piccolo dettaglio, ogni parola che sceglieva di condividere, mi faceva sentire che stavamo costruendo qualcosa di reale, anche se non sapevo ancora cosa fosse.

<<Perché hai smesso?>> gli chiesi, forse un po’ troppo direttamente.

Lui sorrise tristemente, guardando verso l’orizzonte. <<Non lo so. Forse ho solo perso la voglia. O forse ho iniziato a pensare che non servisse a nulla. Ma ora che vedo i tuoi disegni... mi viene voglia di provarci di nuovo.>>

Il suo sorriso era genuino, ma c’era un velo di tristezza nei suoi occhi che mi fece desiderare di sapere di più. Avrei voluto chiedere di più, avrei voluto dirgli che disegnare non era mai inutile, che era il modo migliore che conoscessi per restare connessa a me stessa. Ma le parole non vennero fuori.

Forse non era necessario dire altro in quel momento.

IL PESO DELLE STELLE SPEZZATEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora