Prologo

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                                                                    Il Tempio del Silenzio

L'ombra di un'aquila si stagliava contro il cielo terso dell'Egitto, disegnando un solco momentaneo sul bianco accecante delle pietre del tempio. La grande distesa del deserto, che si apriva oltre i muri sacri, vibrava sotto il sole di mezzogiorno, ma all'interno del Tempio di Iside, un gelo inusuale pareva avvolgere l'aria, inspiegabile e inquietante. Quel luogo, un tempo sacro rifugio di pace e saggezza, ora sembrava il sepolcro di una divinità dimenticata, un tempio non più vivo.
Nefertari avanzava tra le colonne imponenti del tempio, il passo lento e pesante, come se ogni passo la trascinasse più a fondo in un abisso dal quale non poteva, o non voleva, fuggire. Le sue dita, eleganti ma affaticate, sfioravano i geroglifici incisi nella pietra, seguendo i contorni delle parole sacre che narravano le gesta degli dèi. Ma oggi, quei simboli non portavano più conforto, né promessa. Erano solo segni vuoti, come le parole vuote che le persone le avevano rivolto da quando la tragedia si era abbattuta su di lei.
Era passato del tempo, anche se per lei il concetto di tempo aveva perso significato. Il dolore l'aveva rinchiusa in un ciclo infinito di giorni che si sovrapponevano, senza soluzione di continuità. Giorni che si mescolavano alla notte, finché il mondo esterno sembrava più un'ombra sbiadita che un luogo reale. Da quando Nebet, sua sorella minore, era stata strappata dalla vita, il suo cuore era divenuto pietra. Nebet, con i suoi occhi brillanti e il suo sorriso contagioso, era stata la luce nella vita di Nefertari, la sua ancora in un mondo spesso crudele. Ora, senza di lei, il mondo era divenuto un luogo freddo e inospitale, un deserto in cui vagava senza meta.
Nebet era morta durante una piena improvvisa del Nilo, una tragedia tanto comune quanto crudele. L'acqua, che normalmente era la fonte di vita e prosperità per l'Egitto, era diventata una forza distruttrice, capace di portare via una vita giovane e preziosa in un batter d'occhio. Nefertari non era stata lì per salvare la sorella, e questo pensiero la consumava. La colpa, più che il dolore stesso, era la fiamma che la bruciava dall'interno, lasciandola incapace di trovare pace. Aveva fallito nel proteggere la persona che più amava, e ora non riusciva a perdonarsi.
Era notte fonda quando Nefertari trovò finalmente la forza di alzarsi dal letto di pietra su cui si era sdraiata, incapace di dormire. Il tempio era immerso nel silenzio, rotto solo dal fruscio del vento che si insinuava tra le colonne. Le fiamme delle torce ardevano debolmente, gettando ombre tremolanti sui muri ornati di scene divine. Nefertari si avvicinò lentamente alla statua di Iside, al centro del tempio. La grande figura della dea, scolpita in pietra nera, si ergeva solenne, con ali spiegate e un'espressione di serena maestà sul volto.
Iside, la madre, la guaritrice, la protettrice dei morti e la dea della magia. Nefertari si era dedicata a lei fin da bambina, imparando a servire con devozione e fede. La sua vita era stata plasmata dall'esempio di Iside, una dea che incarnava la forza nelle avversità, la saggezza e l'amore incondizionato. Ma ora, di fronte alla statua, Nefertari si sentiva tradita. Era Iside che avrebbe dovuto proteggerla, che avrebbe dovuto proteggerle entrambe, ma non l'aveva fatto. Perché? Cosa poteva aver fatto di male per meritare una punizione così crudele?
"Grande Iside," sussurrò, la voce spezzata dal dolore, "perché mi hai abbandonata?"
La sua voce si disperse nel vuoto del tempio, non trovando risposta. Nefertari abbassò lo sguardo, incapace di sostenere l'espressione impassibile della dea. L'aria fredda del tempio le penetrava sotto la pelle, facendola tremare, ma non si mosse. Aveva pregato, implorato, cercato segni, ma niente era venuto a lei. La sensazione di solitudine era diventata una seconda pelle, un mantello pesante e soffocante che le toglieva ogni forza.
Senza una direzione precisa, si lasciò cadere ai piedi della statua, piegando le ginocchia sul freddo pavimento di pietra. Sentiva i muscoli del corpo irrigidirsi, ma non importava. Il suo mondo si era ridotto a un piccolo cerchio di dolore, racchiuso tra lei e quella divinità silenziosa. Le lacrime, che erano state sue compagne costanti nei primi giorni dopo la tragedia, ora erano scomparse, lasciando il posto a un vuoto arido. Perfino piangere sembrava uno sforzo inutile.
Nefertari chiuse gli occhi, lasciando che il freddo e il silenzio la cullassero. Non sapeva quanto tempo fosse passato quando, in quello stato di semicoscienza, le ombre iniziarono a prendere forma davanti a lei. Non erano ombre come quelle che le torce gettavano sulle pareti, ma figure più sottili, evanescenti, come ricordi lontani che emergevano dal profondo della sua mente. Le figure danzavano lentamente, avvolgendola in un abbraccio spettrale, e Nefertari le riconobbe per quello che erano: sogni.
Il primo sogno la riportò indietro nel tempo, in un giorno di sole, prima che il dolore divenisse la sua costante compagna. Nebet correva nei giardini del palazzo, i capelli lunghi e scuri che svolazzavano al vento, gli occhi luminosi di gioia. Nefertari la inseguiva, ridendo, con il cuore leggero come una piuma. Erano momenti semplici, privi di preoccupazioni, dove il mondo sembrava un luogo sicuro e pieno di promesse. Nebet si voltò verso di lei, il volto illuminato da un sorriso radioso, e per un istante, tutto sembrò tornare al suo posto.
Ma la felicità del sogno si infranse come vetro quando Nebet scivolò via dalla sua presa, dissolvendosi nell'aria. Nefertari cercò di afferrarla, ma era come cercare di prendere un'ombra. La risata di Nebet si trasformò in un'eco lontano, che svanì nel nulla, lasciandola sola nel giardino deserto. Il sole, che poco prima brillava alto, si oscurò improvvisamente, e il mondo intorno a lei si avvolse in una penombra opprimente.
Nel secondo sogno, Nefertari si trovò di fronte al Nilo, le acque nere che ribollivano sotto un cielo tempestoso. Era notte, e il fiume sembrava un serpente minaccioso, pronto a inghiottirla. Sentiva il vento ululare nelle orecchie, e la pioggia fredda che batteva sul suo volto. Nebet era lì, sulla riva opposta, ma non poteva raggiungerla. Ogni volta che tentava di avvicinarsi, l'acqua si alzava, formando una barriera impenetrabile tra loro.
"Non lasciarmi," gridava Nefertari, ma la sua voce veniva soffocata dal fragore delle onde.
La figura di Nebet si dissolse lentamente nell'oscurità, lasciando Nefertari in un'angoscia profonda. Il fiume continuava a scorrere davanti a lei, minaccioso e inarrestabile, simbolo della perdita che l'aveva travolta e che non riusciva a superare.
Quando si svegliò dal sogno, Nefertari si ritrovò accovacciata ai piedi della statua di Iside, il corpo rigido e il cuore pesante. Il tempio era silenzioso, e l'aria sembrava immobile. Solo il battito del suo cuore, lento e doloroso, rompeva quella quiete opprimente.
Era solo un sogno, si disse, cercando di rassicurarsi. Eppure, sentiva che c'era di più. Qualcosa stava cambiando, qualcosa la stava chiamando, e lei doveva scoprirne il significato. Non poteva continuare a fuggire dalla realtà, non poteva continuare a nascondersi nel dolore. Qualcosa dentro di lei si stava svegliando, una scintilla di forza che pensava di aver perso per sempre.
Si alzò lentamente, il corpo ancora scosso dalle visioni, e si avvicinò nuovamente alla statua di Iside. Le fiamme delle torce illuminavano il volto della dea, che ora sembrava meno severa, quasi comprensiva. Nefertari sentì una lacrima scenderle lungo la guancia, la prima dopo molto tempo. Forse, pensò, la dea stava tentando di raggiungerla, di guidarla verso una nuova comprensione. Forse non era tutto perduto.
"Iside," mormorò, la voce tremante, "se sei ancora con me, dammi un segno. Ho bisogno di te, più di quanto abbia mai avuto bisogno di chiunque altro. Non posso fare questo da sola."
Il silenzio del tempio rimase immutato, ma Nefertari sentì una lieve brezza accarezzarle il volto, portando con sé il profumo del loto. Un pensiero le attraversò la mente, un ricordo delle parole che sua madre le aveva detto molti anni prima, quando era solo una bambina: "Il dolore è un fiume, Nefertari. Scorre attraverso di noi, ma non può portarci via. Non se abbiamo la forza di nuotare contro corrente."
Quella notte, Nefertari dormì ai piedi della statua, il corpo avvolto in un sonno profondo e senza sogni. Quando si svegliò al mattino, il sole era già alto, e il tempio era inondato di luce. Per la prima volta da molto tempo, sentì una vaga sensazione di pace. Non era completa, non era ancora la Nefertari di un tempo, ma era un inizio. E quell'inizio le dava speranza.
Si alzò, stirando le membra indolenzite, e si avvicinò alla vasca rituale al centro del tempio. L'acqua, fredda e cristallina, rifletteva il suo volto, e per un attimo, Nefertari quasi non si riconobbe. La sua pelle era pallida, i capelli scuri arruffati, gli occhi cerchiati di ombre. Ma sotto tutto questo, c'era ancora qualcosa di lei, qualcosa che non era stato distrutto dal dolore.
Con un gesto deciso, immerse le mani nell'acqua e si lavò il viso. Il freddo la svegliò completamente, e sentì la mente schiarirsi. Aveva bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per interrompere il ciclo di apatia in cui era caduta. Forse non poteva cambiare il passato, ma poteva scegliere come vivere il presente.
Quella mattina, decise di iniziare con un rituale. Non era pronta per affrontare il mondo esterno, ma poteva almeno cercare conforto nelle antiche tradizioni che aveva servito per tutta la vita. Preparò l'altare con cura, sistemando i fiori di loto, l'incenso e le offerte di frutta. Ogni gesto, ogni preparazione, la avvicinava un po' di più a quella pace interiore che aveva perduto.
Accese l'incenso, lasciando che il fumo aromatico riempisse l'aria del tempio. Le spirali di fumo si alzavano verso l'alto, come preghiere invisibili che cercavano di raggiungere gli dèi. Nefertari si inginocchiò davanti all'altare, il cuore pesante ma deciso.
"Grande Iside," iniziò, la voce calma e concentrata, "ti offro questi doni in segno della mia devozione. Accettali e guidami con la tua saggezza."
Mentre pronunciava le parole, sentì una strana sensazione di calore diffondersi nel petto, un calore che non sentiva da molto tempo. Chiuse gli occhi, lasciando che l'odore dell'incenso e il calore dell'altare la cullassero, portandola in uno stato di meditazione profonda.
Fu allora che accadde.
Un suono, sottile e quasi impercettibile, interruppe la sua preghiera. Era come il fruscio di un manto che scivola sul pavimento, ma c'era qualcos'altro, un'energia nell'aria che non aveva mai percepito prima. Nefertari aprì gli occhi, guardandosi intorno. Il tempio era lo stesso, eppure c'era qualcosa di diverso, qualcosa che non riusciva a identificare.
Poi lo vide. Un piccolo bagliore al centro del tempio, proprio di fronte alla statua di Iside. Era una luce pallida, quasi eterea, che pulsava delicatamente, come un cuore che batte. Nefertari si alzò, avvicinandosi lentamente, con il cuore che accelerava nel petto. Non aveva mai visto nulla del genere, eppure, non provava paura, solo una strana sensazione di attesa.
Quando si trovò davanti a quella luce, si inginocchiò, affascinata. La luce sembrava pulsare in risposta alla sua presenza, emanando un calore rassicurante. Senza sapere esattamente perché, Nefertari allungò una mano, cercando di toccarla. Appena le sue dita sfiorarono quella strana energia, sentì un'ondata di calore attraversarle il corpo, riempiendola di una sensazione di pace e conforto che non provava da molto tempo.
Chiuse gli occhi, lasciando che quella sensazione la pervadesse, e quando li riaprì, la luce era scomparsa, ma qualcosa di nuovo era rimasto dentro di lei. Una forza, una determinazione che non sapeva di possedere. Il dolore era ancora lì, ma ora c'era anche una luce che brillava nel buio, una speranza che non era stata spenta.
Si alzò, guardando la statua di Iside con rinnovata determinazione. Qualunque cosa fosse accaduta, sapeva che era stata un segno, una risposta alle sue preghiere. Non era sola, e non era persa. Doveva solo trovare la strada.
Quel giorno, Nefertari lasciò il tempio per la prima volta dopo molto tempo. Il sole splendeva alto nel cielo, e il calore del deserto la avvolse, ma questa volta non le sembrò opprimente, ma rassicurante, come un abbraccio che l'accoglieva nel mondo dei vivi.
Si diresse verso il fiume, il Nilo, che scorreva placido e tranquillo come sempre, come se niente fosse cambiato. Ma per Nefertari, tutto era cambiato. Si fermò sulla riva, osservando le acque scure che riflettevano il cielo azzurro. Il fiume che aveva portato via sua sorella, il fiume che le aveva strappato l'unica cosa che le importava veramente, ora sembrava un vecchio nemico con cui doveva fare pace.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente l'aria umida. Per un momento, sentì di nuovo la presenza di Nebet accanto a sé, come se la sorella fosse lì con lei, tenendole la mano. Fu un momento fugace, ma sufficiente a darle il coraggio di andare avanti.
"Ti troverò, sorella," mormorò Nefertari, il volto rivolto verso il cielo. "Troverò un modo per portarti indietro, o almeno per trovarti nella prossima vita. Non smetterò mai di cercarti."
Con quella promessa nel cuore, Nefertari tornò al tempio, con una nuova determinazione e una nuova missione. Non sapeva cosa l'aspettava, ma sapeva che non poteva più restare ferma, ad aspettare che il dolore la consumasse. Doveva agire, doveva fare qualcosa per onorare la memoria di Nebet e trovare la pace che tanto desiderava.
E così, senza sapere cosa il futuro le avrebbe riservato, Nefertari iniziò a prepararsi per il viaggio più importante della sua vita. Un viaggio che l'avrebbe portata oltre i confini dell'Egitto, oltre il mondo che conosceva, in un regno di divinità e forze che non poteva immaginare.
Ma tutto questo era ancora lontano. Per ora, si concentrò sul presente, sulla speranza che era rinata dentro di lei, e su un solo pensiero che le dava forza: non era ancora finita.

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