CAPITOLO 5 - Chi è Betty Dawson?

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CHLOE

Mi giro e mi rigiro nel letto. Questa notte sembra impossibile riuscire a prendere sonno. Ho letto fino alle due del mattino, poi mi sono costretta a spegnere tutto. Mi sono messa sotto le coperte, ma il sonno non è arrivato nemmeno dopo una buona lettura, nemmeno dopo una dose doppia di camomilla e nemmeno dopo quelle caramelle che mi ha dato mamma per aiutarmi a dormire nei momenti di stress.

Ho ancora la conversazione di oggi, o meglio di ieri, che mi frulla nella testa. Non ho scritto nemmeno una parola sul mio taccuino. Wayne è riuscito a raggirarmi e alla fine sono stata io a rispondere a tutte le sue domande, mentre lui non ha risposto nemmeno a una delle mie. Dopo ogni mia domanda non ottenevo una risposta, bensì un'altra domanda.

Mi ha destabilizzato molto quell'incontro. Quei due occhi neri mi mettevano in imbarazzo. Non mi sono mai sentita così a disagio nel parlare con qualcuno. Solitamente, mentre svolgo il mio lavoro di giornalista, sono spigliata e diretta. Con lui, invece, è stato tutto l'opposto. Mi sentivo un cucciolo indifeso, ero all'angolo e speravo che finisse tutto il prima possibile.

Devo ammettere, però, che dopo un po' le cose sono cambiate. Dopo mi è sembrato così naturale parlare con lui. Ho risposto alle sue domande come se fosse una persona che conosco da sempre. Quello che mi ha spinto a parlare con lui in quel modo è stata l'assenza di giudizio nel suo sguardo.

Ho sempre visto il giudizio dei miei nonni nel loro sguardo. Ho sempre visto la scritta "errore" riflessa nei loro occhi ogni volta che mi guardavano.

Ho odiato il giorno in cui il professor Fitz mi ha rimproverata. Aveva ragione, ma ho sentito giudicata la mia persona e non il compito. È questo quello che ho sempre odiato della scuola. Non sono i compiti a essere giudicati, ma le persone che li svolgono. Io non sono una A, una B o una C. Io sono Chloe Heart e le persone se lo devono mettere in testa.

Mi giro ancora, mettendomi a pancia in su. Fisso per qualche istante il soffitto, poi mi arrendo e mi alzo. Non ce la faccio più a stare sdraiata sul letto a non fare niente. Ho intenzione di mettermi subito a lavoro.

Torno in salone, prendendo tutto l'occorrente. Mi siedo a gambe incrociate sul divano, infilo gli occhiali e inizio a scrivere sul mio quaderno, che ancora odora di caffè, qualche bozza per l'articolo sul caso Wayne.

Le mie bozze sono sempre una scrittura di getto. Butto giù tutte le parole che mi vengono in mente, tutte le cose che saltano fuori all'improvviso, poi dopo un lungo lavoro di labor limae, durante il quale sistemo meglio le frasi, i costrutti e la sintassi, scrivo il vero e proprio articolo.

Stringo la penna tra le dita e mi rendo conto che qualcosa non va. Mi rendo conto che Derek non mi ha rivelato nulla. Tutte le domande che gli ho fatto non hanno avuto risposta. Ha parlato tanto, ma io ho parlato di più. È stato così furbo e attento alle parole e al tono di voce da abbindolarmi come un'idiota.

Lui mi ha intervistata. Lui ha le risposte.

Mi sento frustrata perché tutto il lavoro che ho fatto per riuscire a incontrare Wayne non mi è servito a nulla. Tanta fatica sprecata.

Sbuffo e getto il quaderno sul divano. Incrocio le braccia e metto su il broncio. Non è possibile che io sia stata così stupida, ma è mai possibile che mi vada tutto male? Gli ho chiesto il reale motivo per cui si è arruolato e non ho ottenuto risposta. Gli ho chiesto che cosa è successo in quel bosco e non mi ha detto nulla. Gli ho chiesto di David Dawson e...improvvisamente mi ricordo del libro con le firme.

Elizabeth Dawson, la vedova di David Dawson, va a trovare Derek Wayne almeno una volta a settimana. Perché dovrebbe andare a trovarlo? Se è vero che Derek è il responsabile della morte di suo marito, perché mai dovrebbe andare da lui ogni settimana? Anche lui ha reagito in modo strano quando ho nominato i suoi amici. Si è preso gioco di me per tutto il tempo, evitando di rispondere alle mie domande in ogni modo, ma quando dalle mie labbra sono usciti quei due nomi ha dato di matto.

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