IV

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Dopo che gli avevo detto non solo che Carmine si era presentato alla visita, ma che si era pure offerto di difendermi e avevo rifiutato, Gianni aveva sbattuto la cornetta sul banco e se n'era andato prima che si esaurisse il tempo della visita.

Una volta avrei temuto che non tornasse, ma ormai lo conoscevo abbastanza da sapere che due settimane e lo avrei rivisto lì. E ne ero grata, anche se mi rendeva un'egoista.

Era uscito dall'IPM due mesi prima della mia condanna definitiva e del mio trasferimento a Poggioreale. Il processo era durato quasi un anno a causa del rifiuto di cooperare di più o meno tutte le parti coinvolte, me inclusa. Non che avessi una difesa, anche a volerla imbastire - anzi, i pezzi della mia giornata si incastravano nella scenografia ideale per un omicidio.

Non avevo mai voluto sposare Carmine. L'avevo adescato, persuaso, ingannato - perché una Ricci accetterebbe mai in sposo un Di Salvo? Una mafiosa che, come testimonia l'unico detenuto abbastanza intelligente da non cedere al codice dell'omertà, vantava il suo coinvolgimento nei traffici di droghe a Napoli fino a un mese prima?

Milos aveva testimoniato contro di me.

Non lo biasimavo. Ero abbastanza sicura fosse stato mosso dal timore che le indagini riportassero a Cucciolo, ma la verità era che se non lo avessi saputo, anch'io mi sarei ritenuta colpevole. A volte mi ero chiesta se non fossi colpevole, se fosse la mia mente ad essersi chiusa al ricordo per proteggermi.

Perché io volevo Edoardo Conte in una bara. Lo volevo da quando avevo scoperto che aveva ucciso mio padre, da quando Donna Wanda mi aveva dato il suo regalo di nozze.

Tutta la notte, tutta la notte che avevo passato con Carmine, l'immagine della testa insanguinata di Edoardo mi aveva inseguito. Il tocco di Carmine, persino i suoi baci - così delicati, così rispettosi, anche quando era sceso fino al pube - non erano stati sufficienti a soffocare quella fantasia.

Lo volevo uccidere, l'avrei ucciso. Che differenza c'era se non ero stata io a sferrare il colpo? Non avevo abbandonato Carmine all'altare per questo?

Per uccidere Edoardo Conte?

E così quando mi avevano chiesto se avessi premeditato di lasciarlo all'altare, se non fosse stata il mio piano dall'inizio, avevo taciuto. E quando mi avevano chiesto da quanto sapessi che Edoardo Conte era responsabile della morte di mio padre, avevo continuato a tacere - anche se non era vero.

Quando si è presentata al matrimonio, lo sapeva che non aveva intenzione di proseguire con le nozze?

Sì.

Ma forse pure lì, la verità si era mescolata alle bugie che mi ero raccontata, e le bugie si mischiavano alla verità a cui non riuscivo ad avere accesso.

Come potevo spiegare al magistrato che volevo sposare Carmine, ma non ero riuscita lo stesso a superare la scalinata? Come potevo spiegare che mi ero affannata a cercare il coraggio dentro alla sua bocca, dentro alla sua pelle, che mi ero affannata tutta la notte, ma non era stato abbastanza? Che ero un essere umano a metà, perché anche l'amore più forte che avessi mai provato non era riuscito a vincere contro l'odio che per diritto mi scorreva nelle vene?

Quindi avevo taciuto, e avevo assentito, e avevo lasciato che mi condannassero per un crimine che non avevo commesso.

Non aveva importanza, perché chiunque avesse ucciso Edoardo Conte, lo aveva ucciso in mio nome. Lo sapeva il magistrato, e lo sapevo io, e l'indagine non si era mai focalizzata sul chi, ma sul come - come giustificare la mia sentenza.

Ero una Donna Wanda che avevano potuto cogliere in fallo prima che l'età adulta mi rendesse troppo cauta per essere scoperta. Forse non avevo commesso omicidi, ma li avrei commessi. Forse li avevo commessi, anche se non avevo ucciso Edoardo Conte nello specifico.

Dall'altro lato delle sbarreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora