In quelle tre settimane che chiudevano settembre, il rapporto con Pablo si intensificò. Dopo quella sera in cui avevo preso il controllo, ora ci alternavamo. Era diventato un gioco, in cui a volte conduceva lui e altre io. Ma nonostante tutto, quelle settimane furono un misto di sofferenza e passione che non avrei mai più rivissuto con nessun altro.
Non mi rendevo conto di quanto realmente mi facesse male, accecata da un sentimento profondo e indecifrabile. Agrodolce è forse la parola più adatta a lui, a ciò che eravamo e a tutto ciò che avevamo vissuto. Pablo mi voleva solo per sé, senza mai cercare di possedermi veramente, e io, che gli davo una falsa libertà, morivo lentamente dentro. Ogni incontro fisico con lui trasformava entrambi, creando una versione diversa di noi stessi. Quando eravamo insieme, diventavamo un "noi" fisico e spirituale, anche se quelle parole non le avevamo mai pronunciate. Non ci dicevamo "ti amo", né facevamo promesse di appartenenza o avevamo paura di perderci. Erano settimane di silenzi, di conversazioni superficiali su carriere e ambizioni. E andava bene così.
Era un meccanismo che funzionava, ma in modo precario, improvvisato. Cadevo ogni volta e lui poi spariva. Non si legava, non voleva. Preferiva essere un puntino libero nel mondo, senza attaccarsi a niente. Si svegliava nel panico e fuggiva come se avesse commesso chissà quali crimini, svuotato di ogni sentimento. Io lo lasciavo andare, consapevole e ormai dipendente dal suo ciclo. Lui non ne approfittava, perché quando scappava, non riusciva a fare a meno di tornare. E ogni volta, puntualmente, tornava. Sempre.
Quando era con me, si svuotava completamente, come se ogni sua parte scomparisse nell'aria. Le pareti della stanza si impregnavano di ricordi, desideri, nostalgia, rabbia, e forse anche un po' d'amore. Io stringevo i pugni, cercando di trattenere quel momento, ma fallivo sempre. Tutto scompariva, lasciandomi sola.
Allungavo la mano, cercando qualcosa a cui aggrapparmi, ma trovavo solo il vuoto. Non percepivo più nulla di lui: il calore del suo corpo, la sua voce nell'aria, il suo profumo tra le lenzuola. Anche il disordine che lasciava dietro di sé sembrava svanire. Quando se ne andava, non portava via nulla, lasciava tutto il dolore dentro di me, un dolore che non riuscivo a esternare.
Mi rigiravo nel letto, camminavo per la stanza sperando che ad ogni passo anche io mi dissolvessi, come faceva lui. E quando tornava, era come se non fosse mai andato via, come se fosse stato fuori solo per qualche minuto.
Ora, tra le sue braccia dopo una notte intensa, mi mordicchiavo le labbra, mentre nella mia mente si affollavano domande che non avrei voluto affrontare. Riflettevo se davvero volevo continuare in questo limbo di passione e vuoto, o se desideravo ritornare alla me stessa di prima. Quella ragazza che non si era mai persa in un uomo, che non si era mai lasciata distruggere dal caos di un sentimento così contorto.
Era ormai un mese che facevo sesso con Pablo, ma non ero nemmeno certa che lui facesse lo stesso. Sì, tornava sempre da me, ma che importanza aveva? Pablo non apparteneva a nessuno, meno che mai a me. Io ero una tappa, una parentesi nella sua vita, come lui lo era nella mia. Ma questa consapevolezza non riusciva a calmare l'ansia che mi attanagliava ogni volta che spariva senza dire una parola.
Mi girai leggermente per osservarlo, il suo viso rilassato nel sonno, la sua bellezza quasi irrealistica, come se fosse stato creato apposta per far innamorare e poi distruggere. Sentivo il calore del suo corpo accanto al mio, ma mi sembrava così distante. Anche ora, mentre dormiva, lo percepivo lontano, come se appartenesse a un mondo diverso. Mi chiedevo se, anche solo per un momento, avesse mai pensato che tra noi ci fosse qualcosa di più, qualcosa che andasse oltre il sesso.
Mi ero persa in lui, in quel "noi" che però esisteva solo nelle ore notturne. Quando le luci si spegnevano e rimanevamo soli, sembrava tutto così reale. Ma poi, ogni mattina, tutto svaniva, dissolvendosi nella luce del giorno. Era come se il nostro rapporto fosse confinato a quelle ore di buio, e il resto del mondo non esistesse.
Mi domandavo cosa sarebbe successo se avessi deciso di fermarmi, di dirgli che non potevo più andare avanti così. Mi avrebbe lasciata andare o avrebbe cercato di trattenermi? E io, ero davvero pronta a lasciarlo, o continuavo a vivere nella speranza che un giorno le cose sarebbero cambiate? Che lui avrebbe visto in me qualcosa di più di un rifugio temporaneo?
Mi alzai dal letto, cercando di non svegliarlo, e andai verso la finestra. La città dormiva ancora, e il silenzio della notte era interrotto solo dal rumore lontano delle auto. Respirai a fondo, cercando di ritrovare un po' di chiarezza. Non potevo continuare così, ma allo stesso tempo non volevo perdere quel poco che avevamo.
Ero bloccata, sospesa tra due scelte.
Restai lì, appoggiata al vetro freddo, osservando le luci lontane della città che iniziavano a spegnersi. Mi chiedevo quanto ancora avrei potuto resistere in questa continua alternanza di vuoti e ritorni. Ogni volta che Pablo andava via, portava con sé una parte di me, ma tornava sempre senza restituirla. Ed io, stupidamente, gliela concedevo di nuovo, come se fosse l'unico modo per sentirlo ancora vicino.
Sentii un movimento alle mie spalle, il letto scricchiolò leggermente. Pablo si era svegliato. Lo percepivo, il suo sguardo che mi osservava dalla distanza, studiando i miei movimenti, cercando forse di capire cosa stavo pensando. Ma non mi voltai. Non avevo più la forza di affrontare quei momenti di vuoto che seguivano sempre le nostre notti insieme. Era un ciclo che mi stava logorando, e ogni giorno mi sembrava sempre più difficile da sopportare.
«No puedes dormir?» chiese la sua voce bassa e impastata dal sonno. Non risposi subito, continuando a fissare la città che dormiva. Sentii il letto muoversi di nuovo, e dopo pochi secondi Pablo era accanto a me, in piedi, nudo e rilassato come se fosse nel suo mondo.
«Ci pensi mai a cosa siamo?» sussurrai senza voltarmi. La domanda mi uscì spontanea, come se da troppo tempo fosse rimasta intrappolata dentro di me.
Lui non rispose subito, e la sua esitazione mi fece capire che non aveva una vera risposta. O forse, semplicemente, non voleva darla. Sentii le sue braccia cingermi la vita da dietro, il calore del suo corpo contro la mia schiena. Mi strinse leggermente, come se quel gesto potesse bastare per darmi una risposta che non voleva o non poteva pronunciare.
«Siamo ciò che siamo, Mami,» disse infine, con quel suo tono basso e sicuro, come se fosse convinto che quelle parole avrebbero spazzato via ogni mio dubbio. «Non c'è bisogno di etichette o spiegazioni. Non per noi.»
Mi girai finalmente verso di lui, guardandolo negli occhi. Quegli occhi che avevano il potere di far crollare tutte le mie certezze, di farmi dimenticare ogni volta quanto fosse sbagliato tutto questo. Ma questa volta non era sufficiente. Sentivo che qualcosa dentro di me stava cambiando, che non potevo più accontentarmi delle sue mezze risposte, del suo continuo andare e venire.
«Forse tu non ne hai bisogno,» risposi con voce calma, ma decisa. «Ma io sì.»
Le sue braccia rimasero intorno a me, ma il suo sguardo si fece più serio. Sapeva che qualcosa stava cambiando. Lo vedevo nei suoi occhi, in quella piccola contrazione del viso che tradiva il suo solito controllo.
«E cosa vorresti che fossimo, allora?» chiese, la sua voce ora più bassa, come se volesse evitare una risposta che già conosceva.
Sospirai, guardandolo per un lungo momento. «Non lo so. Forse qualcosa di più. Forse niente. Ma non posso più vivere così, sospesa in questo limbo.»
Pablo mi fissò, la sua espressione indecifrabile. Era il primo momento in cui lo vedevo veramente vulnerabile, come se non sapesse più come reagire, come se il suo solito controllo gli fosse sfuggito di mano. E in quel silenzio, capii che la risposta che cercavo non l'avrei mai ottenuta.
Mi allontanai dalle sue braccia, prendendo la distanza necessaria per respirare. «Voglio che tu decida, Pablo. O resti o te ne vai. Ma non posso più accettare questa alternanza. Non più.»
Il suo viso si irrigidì, il suo sguardo si abbassò per un momento, come se stesse cercando le parole giuste, ma sapevo già quale sarebbe stata la sua scelta. Lo aveva fatto altre volte. Tornava, ma non restava mai davvero.
«Non sono fatto per restare.» disse infine, con una voce che sembrava quasi dispiaciuta, ma non abbastanza.
Lo sapevo. Lo avevo sempre saputo. Ma ora, sentirlo da lui, era la conferma di ciò che avevo sempre temuto.
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Secreto - Pablo Gavi [IT]
FanfictionDopo un anno di studi a Barcellona, ho deciso di trasferirmi definitivamente nella città catalana. Una notte, al Pacha, il destino mi ha fatto incontrare il misterioso calciatore del Barça, Pablo Gavi. Tra luci scintillanti e ritmi travolgenti, abbi...